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Prompt: Acqua

Word count: 580
Rating: sfw
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L'acqua è sempre stata una compagna di vita per Manami.

Fin da piccola, l'elemento ha assunto un ruolo chiave nella sua vita, per quanto presente è cominciato ad essere e poi continuato: sentiva come un istinto, una voce che le sussurrava questo e quello, senza diventare invasiva - c'era, c'era e basta, ad offrire una confortante presenza nei momenti meno piacevoli ed offrire il sostegno necessario per avanzare in quella che poteva essere la carriera di una vita. Diventare eroi poteva rappresentare un grande onore, ma anche una responsabilità sproporzionatamente grande per chi portava il titolo.

Suo padre Kion non aveva perso tempo, dal momento in cui aveva espresso il desiderio di intraprendere quella linea di lavoro: tutt'altro, pur non essendo divenuto mai uno degli eroi più famosi ed avendo scelto un ruolo più "da scrivania" alla fine, la sua capacità di controllo sull'abilità che condividevano aveva dell'impressionante.

"Su, su, Mana-chan! Se continui così non riuscirai a superare le selezioni, sai?" 

La voce di suo padre era raramente seria, ma in quell'occasione - nonostante il tono gioviale e scherzoso che lo contraddistingueva - Manami percepì una nota più severa. Non potè non apprezzarla, sinceramente, perchè quello significava che il genitore volesse rispettare il suo desiderio ed aiutarla per davvero: era stato il suo primo desiderio, dopo tutto.

"D'accordo... Riproviamo."

"Ricordati, posizione di partenza. Respiro e poi concentrazione." ripetè per l'ennesima volta, con pazienza, il più grande. "Senza paura, sono qui anche io."

Una rassicurazione nota, ma sempre lieta da sentire. Sapere che suo padre fosse lì in caso qualcosa - qualsiasi cosa - fosse accaduto la tranquillizzava, forse più di quanto credesse e fosse disposta ad ammettere.

Rilassò le spalle, quindi, le braccia lasciate morbide lungo i fianchi. Cercò poi di regolarizzare il suo battito, prendendo respiri lunghi e regolari. Di già a quel punto, attorno a sè, poteva come sentire la familiare presenza di acqua, nella sua forma più fine e trascurata dai sensi - vapore, umidità.

Alzò allora le mani davanti a sè, separate, ma come in posizione di preghiera, con i palmi rivolti l'uno verso l'altro. Come altre volte prima, nello spazio tra esse iniziò a formarsi un piccolo globo d'acqua - piccolo piccolo, e via sempre più grande - che non era nient'altro che l'esercizio che stavano provando da un paio d'ore.

Tramutare il vapore in acqua, dargli forma, sfruttarlo e manipolarlo a proprio piacimento.

Non avrebbe saputo da dove cominciare, se avesse dovuto seguire il mero istinto sarebbe finita con il fare qualcosa che avrebbe rimpianto in futuro: non c'era peggiore insegnante della fretta, o di un attuale consiglio sbagliato. Prenderla con calma, imparare a conoscere il proprio potere - e non odiarlo, per quanto possa essere difficile controllarlo - rappresentava sempre la scelta più corretta, per lei.

Specialmente quando, riaprendo gli occhi, poteva vedere i risultati del suo duro lavoro: una sfera d'acqua la avvolgeva in un abbraccio non mortale, bensì confortante, attraverso la quale poteva vedere la figura di suo padre battere le mani con entusiasmo. Non capiva cosa stesse dicendo a causa del rumore della corrente che formava quel globo - allo sforzo che fece per diminuirne la pressione, poco dopo, la forma collassò lasciandola letteralmente infradiciata su due piedi.

La risata di Kion seguì un istante più tardi, piena di un puro, bambinesco divertimento. 

Manami gli si lanciò contro, per vendetta: non sarebbe stata l'unica a rientrare in casa con gli abiti bagnati quel pomeriggio.

 

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Prompt: Road trip

Word count: 1702
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Se qualcuno, chiunque, avesse detto a Leon che alla veneranda età di trent'anni, e dopo aver già passato una discreta parte della sua vita a spostarsi da una città all'altra, si sarebbe lanciato in una mirabolante avventura (viaggio) su quattro ruote con il suo migliore amico e fratello non di sangue, probabilmente si sarebbe voltato dalla parte opposta domandandosi internamente di quale sostanze avessero fatto uso, per pensare ad una cosa simile.

Leon era, di base, una persona molto stanca. Di già, direte? Ebbene, chiunque fosse stato costretto (da una paranoia che poteva anche aver senso, ma anche no in fondo, da parte di una figura paterna che s'era tramutata poi in un "nonno") ad aspettarsi poco e nulla da ogni legame che creava, ogni radice che provava a mettere, alla lunga poteva risultare alquanto pesante. Tassante. Stancante.

L'ironia della vita, che già pareva essersi accanita abbastanza su di lui e con la sua famiglia più in generale, non pareva essere propriamente soddisfatta a quel punto. E di fatti, quando Tatsuya gli aveva proposto di partire insieme, loro due soli, per staccare un po' dal caos che era di norma la loro vita, il tedesco era rimasto discretamente spiazzato ed anche, in buona parte, stupito che fosse stato lui la prima scelta dell'altro  - sapeva, nonostante tentasse di non invadere più del dovuto la privacy altrui, la ragione di essa, ma a volte Leon pensava davvero, davvero troppo.

Certo, non si poteva aspettare che Tatsuya invitasse, per esempio, un Krow ad una convention sulla letteratura  - non perchè Krow fosse una persona illetterata, anzi, l'uomo pareva avere fin troppa conoscenza per qualcuno il cui comportamento somigliava più a quello di un affettuoso samoiedo, ma per appunto l'incapacità di star fermo troppo a lungo o mantenere l'attenzione sulla stessa cosa per più di un minuto o due. Similmente, ma in maniera del tutto diversa, anche il più sospettabile "best partner" era fuori dai giochi, perchè onestamente nessuno vuole considerare anche solo l'idea di Tatsuya e Siegfried che viaggiano assieme. Sarebbe quasi più spaventoso, ed inquietante in caso di successo e non un fallimento su tutta la linea, della possibilità che il tedesco ed una russa di nostra conoscenza finissero insieme, come coppia.

Quelli sarebbero pensieri veramente terribili, un tabù comunemente riconosciuto per mantenere la sanità mentale - o quel che ne restava - della famiglia.

Nonostante tutti i preamboli, comunque, Leon aveva accettato di buttarsi in un viaggio tradizionale. Anche un po' perchè, a dire il vero, una piccola parte di sè percepiva un minimo senso di colpa ogni volta che chiedevano un passaggio a Takuma, che per quanto disponibile a far loro un piacere (dopo anni ed anni di tentativi di socializzare e legare, come quando si prende un nuovo gattino e si deve abituare all'affetto della nuova casa; solo che questo particolare gatto era un randagio, con un carattere sospettoso e schivo, e che non aveva ricevuto in primis un trattamento proprio positivo) ogni volta che esagerava, perchè ancora incapace di capire dove stavano i suoi limiti, rischiava di collassare su se stesso dalla stanchezza. 

Non sapeva cosa significava essere un Teleporter, ma se i pensieri che aveva percepito quelle due-tre volte che Takuma era letteralmente atterrato nel salotto di casa Sievert e si era accasciato per una decina d'ore sul divano, immobile salvo il ritmico muoversi su e giù del suo petto, gli potevano essere di qualche indicazione allora, onestamente, ringraziava di poter solamente leggere i pensieri altrui. Sebbene questo fosse una maggiore fonte di rotture di palle, specialmente accanto a persone veramente rumorose.

Il giorno della partenza era stato più anti-climatico della preparazione per il viaggio. Un po' era grato del fatto che avessero deciso di partire presto, perchè ciò significava che gli unici svegli a quell'ora dimenticata da Dio avrebbero potuto essere solamente suo padre, suo zio e sua madre - santa donna, Xylia, che aveva fatto trovare sia a lui che a Tatsuya una sostanziosa colazione (e del caffè) quando erano scesi in cucina dalle rispettive stanze. Avrebbe anche voluto lamentarsi dell'essere coccolato a quel modo a trent'anni, se solo avesse effettivamente potuto godersi l'affetto della donna per sedici anni di più, invece che solo per gli ultimi quattordici. 

Comunque, se Leon pensava di provare un piacevole imbarazzo alle continue raccomandazioni della donna durante la colazione, dovette ricredersi al momento della partenza: non solo li accompagnò fino all'auto, parcheggiata nel cortile subito in fronte all'ingresso, ma salutò entrambi con un bacio sulla fronte ed un abbraccio - a cui Tatsuya aveva imparato finalmente a non andare mentalmente nel panico in risposta. Una fonte di blackmail in meno, ma una soddisfazione.

Per una questione di sorteggio, s'era deciso che Leon avrebbe preso il primo turno alla guida: delle sei ore di viaggio, sicuro avrebbe fatto lui le prime tre. A dirla tutta, dopo la nottata di riposo al fianco di Klaus, il tedesco si sentiva ben in forze per farsele anche tutte e sei - ma questo dipendeva molto da quanto gli altri utenti della strada attentavano alla sua pace mentale. 

"Musica?" fu la semplice e schietta domanda di Tatsuya, già impegnato a trafficare con il telefono  da quel che poteva vedere con la coda dell'occhio.

Leon gli spedì un sospiro mentale. "Basta che non metti qualcosa di italiano. Ti potrei dover far scendere dall'auto in quel caso."

"Non lo faresti. E comunque ho di meglio sul telefono."

Era esattamente quello che preoccupava Leon, conscendo cosa l'altro potesse essere capace di mettere in riproduzione. Parte di sè temette i secondi necessari per connettere telefono e auto via bluetooth, ma appena partì la prima canzone e riconobbe la voce di Aimer, allora tirò un interno sospiro di sollievo.

Il silenzio, anche se di questo non si poteva forse parlare con un background musicale, non aveva mai rappresentato un problema tra loro due, anche al di là della capacità di Leon di leggere i pensieri altrui: la parte migliore di tutto questo stava nel fatto che il novanta percento delle volte, nemmeno aveva bisogno di usare la sua abilità per capire cosa passasse nella testa del compagno di viaggio. Tuttavia, siccome Leon era figlio di suo padre e Siegfried aveva la stessa simpatia di un cactus nelle mutande, e la delicatezza probabilmente non era mai stato di casa da nessuno dei sue, giunse la domanda.

"Quindi? Avete stabilito una data, tu e Rodion?" 

Percepì una discreta frenata mentale (durata per circa mezzo secondo, il che gli fece onore) da parte dell'altro, prima di tornare alla quiete. Come un'increspatura sull'acqua dopo che qualcuno getta un sassolino. 

"Veramente no, ne abbiamo parlato una volta sola." ammise con una serenità che a Leon scaldò l'anima che pensava di non aver più, ormai. "Non preoccuparti, quando dovrò scegliere il testimone di nozze non verrai superato da tuo fratello."

"Tu sai che Yvan ti pianterà il broncio se lo escludi, vero?"

Il ricordo, freschissimo, di un trentenne con l'aria da cucciolo bastonato alla scoperta che non solo il suo padroncino sta uscendo per più giorni senza di lui, ma si sta anche portando dietro qualcuno che non sia lui! L'immagine di suo fratello che, effettivamente, riceve la notizia del matrimonio solo per poi sentirsi dire che non sarebbe stato lui almeno uno dei testimoni...

Leon rise, suscitando così uno sbuffo divertito al compagno di viaggio. "Lo so. E so che hai immaginato la scena giusto ora. Sei un fratello terribile."

"C'è un motivo se sono il tuo preferito, Tatsu."

"Mah... per il momento almeno."

Non c'era reale irritazione o offesa dietro le loro parole, ed anzi la confidenza che erano ormai capaci di prendersi e concedersi a vicenda era ulteriore prova del loro rapporto. O, come direbbe qualcuno, dello sviluppo caratteriale che avevano raggiunto.

La pace durò a sufficienza, riempiendo lo spazio tra i due viaggiatori con canzoni orecchiabili, canzoni meno orecchiabili e chiacchierate più o meno profonde, ma anche con del semplice silenzio - un dono che, vivendo in due case in cui gli abitanti sono alquanto numerosi, poteva non essere in fondo così scontato. Tatsuya si era chiuso con il suo sudoku sul telefono, lo vedeva con la coda dell'occhio, e Leon quasi si dispiacque dell'urlo che cacciò appena un, testuali parole sue, "deficiente che non avrebbe dovuto uscire di casa, tanto meno infestare le strade" per poco non andò addosso alla loro auto, nel tentativo di sorpassare. Quella era forse una delle cose che più detestava, considerando anche il fatto che non era da solo in macchina.

Il tedesco, da persona pacata e sicuro non facilmente irritabile quale era, fu tentato a lanciare un urlo mentale al guidatore in vendetta, quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla.

"Ricordati che per ogni incidente che causi, un Klaus a casa piange." 

La frase ebbe effetto immediato, e Leon si trovò a odiare un po' la sua debolezza ormai nota e palese. Non poteva più comportarsi da caos incarnato e causare incidenti del tutto non voluti, e specialmente non voluti per motivi infantili, se aveva in mente l'immagine del suo fidanzato triste. 

'Sei un amico terribile.' borbottò tra sè e sè il Mind Reader, rendendo il messaggio chiaro e schietto nel trasmesso alla mente altrui.

Lo vide un po' di sbieco, ma anche senza conferma visiva non avrebbe assolutamente esitato a pensare che Tatsuya avesse quell'espressione, il sorrisetto soddisfatto di chi sa e non aveva dubbio che la conversazione avrebbe preso quella piega.

'Eh, succede. Almeno ti evito la galera, o di arrivare in ritardo. Ci sono parecchi libri che mi interessano e vorrei arrivare prima del mezzogiorno.'

Come al solito, c'erano poche possibilità che Leon riuscisse a vincere contro Tatsuya - se non altro, condividevano comunque lo stesso orrido senso dell'umorismo, che occasionalmente poteva diventare anche assai motivazionale. 

In quel momento, Leon capì che quell'esperienza non sarebbe stata come quelle che aveva avuto con Krow. Quest'altra sarebbe stata più caotica, divertente - forse perchè non stavano scappando da fantasmi del passato, ma per una pura questione di piacere. 

L'idea aveva un che di rinfrescante, in fondo. 

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Prompt: Sintesi

Word count: 550
Rating: sfw
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L'ennesima città stava bruciando sotto i suoi occhi.

Un esperimento, l'ennesimo atto ad intrecciare il fato di due creature poste agli opposti della morale umana, che sembrava offrire risultati simili alle prove precedenti, dopo tutto.

Lo schermo parlava chiaro di fronte a lui: ogni qualvolta che contrapponeva un concetto generalmente riconosciuto come "bene" ed uno generalmente riconosciuto come "male" dalla mentalità umana, un conflitto si andava a scatenare in maniera praticamente certa. Prima o dopo nel corso della linea temporale, ma il punto restava saldo.

Aveva fatto prove su prove nel corso della sua esistenza, per analizzare il comportamento di una razza che aveva creato, in parte cresciuto ed infine abbandonato al proprio destino, ritraendo la mano che li aveva sempre guidati lungo un percorso designato. Si era limitato ad osservare le scelte che le creature avevano preso da sè, come si erano lentamente evolute (ricercandosi tra simili, creando piccoli gruppi e successivamente civiltà intere) fino a formare il contesto sociale che attualmente si presentava ai suoi occhi.

A doverlo ammettere, si poteva dire stupito fino ad un certo punto. Non si aspettava che esseri nati per essere suoi ciechi servitori, a cui aveva donato un Io ed una mente inizialmente debole e voltata all'obbedienza cieca più per esperimento che per reale bontà d'animo, fossero riusciti ad arrivare così lontano: ad ogni passo compiuto, gli esseri umani facevano esperienze e ne assorbivano lati positivi e negativi, spesso e volentieri con un mix dei due. Era affascinante come dentro ognuno di loro si verificasse una sintesi della storia stessa, degli avvenimenti che formavano così come distruggevano il mondo, pezzo per pezzo, ogni giorno che passava.

Alle volte, qualcuno riusciva persino a superare le sue aspettative, scegliendo una posizione "estremamente positiva" o "estremamente negativa" - il che gli faceva domandare, con tutto interesse scientifico, cosa fosse scattato per avere risultati tanto "puri" in un individuo. E, soprattutto, cosa sarebbe accaduto nel mettere insieme ed a confronto due elementi con simili tratti personali e caratteriali.

Da qui, ovviamente, l'esperimento corrente. 

Nelle sue plurime ripetizioni, aveva registrato quasi equamente una "vittoria" di una piuttosto che dell'altra, sebbene spesso e volentieri la linea di confine restava poco definita: una creatura buona che, in seguito all'esposizione ad atti di tremenda natura, andava a modificare più o meno fortemente la propria, per continuare a coesistere con se stessa. Una creatura, di contro, malvagia era riuscita talvolta ad ammorbidire i suoi modi di fare, in seguito all'incontro con un qualcuno che aveva fatto breccia nell'impenetrabile dedizione alla malvagità.

Eccezioni, direbbero alcuni dei suoi simili - anche parecchio scontate, si sarebbe potuto aggiungere all'osservazione - che rappresentavano comunque un ampio spettro della natura umana. Eppure, anch'essi risultavano in qualche modo essere un miscuglio (seppur in percentuali differenti) dei due aspetti.

Da un certo punto di vista era affascinante, il numero infinito di possibilità e di combinazioni, cause ed effetti che quella fusione poteva comportare. Sentiva quasi di non star perdendo tempo con quegli esperimenti, per quanto ripetitivi nei loro generali risultati.

"Aah, tempo di passare al prossimo scenario dunque." Un sorriso gelido segna il momento in cui un'altra pagina della storia veniva voltata - le precedenti non dimenticate, ma assimilate e riassunte in un disegno più grande di tutte le cose. 


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Prompt: Antitesi

Word count: 620
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La città sta bruciando.

Dalla cima dell'edificio su cui il terrorista ha attirato l'eroe, lo spettacolo è a dir poco mozzafiato: come sospettava sarebbe accaduto, i poteri locali hanno rifiutato la sua richiesta di lasciare andare suo fratello - un criminale incarcerato ed in attesa della sedia elettrica - e lui, come promesso, ha fatto saltare in aria contemporaneamente quattro dei luoghi più affollati dell'intera zona. Sia detto anche che, come ogni atto terroristico che si rispetti, aveva dato ampio tempo per decidere e per cercare di sventare una disgrazia. 

Per sfortuna degli eroi e dei governanti, questo terrorista è particolarmente letale e meticoloso nel suo operato.

"Sei soddisfatto, ora?! Questo è tutto ciò che volevi, no? Il terrore, la sofferenza. Degli esseri umani stanno morendo per colpa tua."

La voce dell'eroe, sua nemesi, è spezzata da un pianto a malapena trattenuto - fin troppo sensibile ed emotivo, ancora 'acerbo' per quella linea di lavoro - e trema di una rabbia tanto palese quanto ardente, quasi come le fiamme che si alzano da quattro punti della città.

Il terrorista alza un sopracciglio, osservandolo con la coda dell'occhio. "Ne muoiono ogni giorno a centinaia, nel mondo. Non vedo come un migliaio o due di persone in meno possano nuocere alla comunità." afferma, con una freddezza degna di tale nome.

La reazione è immediata.

"Ed i loro sentimenti? Non ti importa nulla di come si sentano quelli che vedono i loro cari in questo stato?!"

Di nuovo, così acerbo per quel genere di lavoro: solamente perchè qualcosa piace e ti ispira, non significa che sia automaticamente qualcosa che fa per te, dopotutto.

"Ah, dovrebbero? Nessuno si è mai interessato di quello che prova il prossimo." Nessuno si è mai interessato di quello che provano lui, o suo fratello. Se 

 Gerald fosse venuto a mancare, lui non avrebbe sopportato la cosa - non è forse lo stesso, quindi? "E ti ricordo, mio caro, che c'era la possibilità di evitare tutto questo. Sono stati i tuoi superiori a non sceglierla."

"Hai preso in ostaggio una città intera, migliaia e migliaia di persone, per far uscire un criminale di prigione!"

Ah, eccolo. Il giovane moralismo dei nuovi arrivati. E' sempre rinfrescante vederne, così come è soddisfacente strappare quel germoglio di purezza che ancora sperava di poter crescere rigoglioso in quella linea di lavoro.

"Appunto per questo. La vita di una singola persona, oppure quella di migliaia. Il governo avrebbe potuto salvare tutti coloro che sono morti 'per colpa mia', liberando una singola persona. Eppure hanno scelto di dare più valore alla legge, alle regole."

Per lui, suo fratello vale anche di più di una manciata di cittadini saltati in aria con un centro commerciale, o qualche vittima rimasta schiacciata sotto le macerie. Avrebbe compiuto altri dieci, cento attentati se ciò avesse significato vederlo libero sotto la luce del sole, al suo fianco.

"Sai benissimo che sarebbe stato un precedente! Il governo non può accontentare tutti i capricci di ogni singolo terrorista!"

"E' per questo che voi Eroi esistete, no? Per salvare le persone, prevenire queste situazioni e risolvere i problemi che nascono nelle vostre città. Non è vostra la colpa, in fin dei conti?"

"Come diavolo ti permetti?! Sei davvero- sei completamente pazzo!"

Non è assolutamente la prima volta che si sente dire una cosa del genere, nè sarà sicuramente l'ultima. Ride, quindi, perchè trova l'accusa veramente divertente - per quanto ripetitiva, scontata, un po' pare non invecchiare mai.

Così come non invecchia mai la risposta che dà poco dopo, soddisfatto nel vedere i palesi tremori nelle spalle altrui.

"Se è questo quello che ti fa comodo pensare. Io se non altro so reggere il peso delle mie colpe. E tu, piccolo Eroe?"

L'eroe tace, e quella per il terrorista è la risposta più eloquente.

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Prompt: Tesi

Word count: 630
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La città sta bruciando.

Ha fatto del suo meglio, davvero, ma a quanto pare non è stato sufficiente. Il governo l'ha incaricato di trovare ed inseguire il terrorista che ha minacciato di far saltare in aria "quattro dei luoghi di ritrovo più frequentati della città" se il governo non avesse liberato un certo Gerald Evans, ospite della prigione della contea in attesa della pena capitale. Forse non l'avevano preso abbastanza sul serio, nonostante l'ampio lasso di tempo che quello ha lasciato loro per prendere la loro decisione - tempo dedicato, dagli eroi, a investigazioni e ricerche per sventare una potenziale minaccia.

Palesemente, non è stato sufficiente.

Ora che è da solo con la causa di quell'orrore, in cima ad un edificio che offre loro la vista su quello spettacolo di terrore, non riesce a trattenere la rabbia.

"Sei soddisfatto, ora?! Questo è tutto ciò che volevi, no? Il terrore, la sofferenza. Degli esseri umani stanno morendo per colpa tua." 

Gli vomita addosso quelle parole con odio, sentendo già la bile salirgli in gola quando l'altro offre la sua risposta, in un tono noncurante, gelido - come se non fosse un problema che lo riguardava.

"Ne muoiono ogni giorno a centinaia, nel mondo. Non vedo come un migliaio o due di persone in meno possano nuocere alla comunità."

L'eroe sente di star abboccando ad un'esca palese, ma non si trattiene ugualmente. "Ed i loro sentimenti? Non ti importa nulla di come si sentano quelli che vedono i loro cari in questo stato?!"

Pare quasi pensarci, il terrorista, prima di replicare - abbastanza perchè l'eroe possa scorgere una scintilla di umanità nello sguardo altrui. La speranza nasce e muore quasi istantaneamente.

"Ah, dovrebbero? Nessuno si è mai interessato di quello che prova il prossimo. E ti ricordo, mio caro, che c'era la possibilità di evitare tutto questo. Sono stati i tuoi superiori a non sceglierla."

"Hai preso in ostaggio una città intera, migliaia e migliaia di persone, per far uscire un criminale di prigione!"

"Appunto per questo. La vita di una singola persona, oppure quella di migliaia. Il governo avrebbe potuto salvare tutti coloro che sono morti 'per colpa mia', liberando una singola persona. Eppure hanno scelto di dare più valore alla legge, alle regole."

'Sta' zitto, sta' zitto!' è il pensiero che si ripete nella mente del giovane eroe, quasi come un mantra che gli serve per restare ancorato al presente. E' difficile sentir pronunciare così platealmente le parole che s'era permesso solo di pensare - perchè il governo non ha ceduto? Ovviamente lo sa bene, lo sa benissimo, maledizione, ma ciò non significa che le parole che escono poco dopo dalla sua bocca non gli lascino un retrogusto amaro in bocca.

"Sai benissimo che sarebbe stato un precedente! Il governo non può accontentare tutti i capricci di ogni singolo terrorista!"

Lo sente. Sente di aver commesso un errore, con quelle parole, perchè l'espressione del criminale di fronte a sè assume una piega quasi di compassione. Non gli piace quello sguardo, perchè l'ultima cosa che vuole è che il suo nemico provi pietà nei suoi confronti.

"E' per questo che voi Eroi esistete, no? Per salvare le persone, prevenire queste situazioni e risolvere i problemi che nascono nelle vostre città. Non è vostra la colpa, in fin dei conti?"

Ricevere un pugno nello stomaco ha fatto meno male di quella risposta - la rabbia, di nuovo, monta come impazzita in pochi secondi.

"Come diavolo ti permetti?! Sei davvero- sei completamente pazzo!"

Gli si spezza la voce - non avrebbe dovuto mostrarsi debole di fronte ad un mostro simile.

"Se è questo quello che ti fa comodo pensare. Io se non altro so reggere il peso delle mie colpe. E tu, piccolo Eroe?"

L'eroe ammutolisce: i sensi di colpa lo stanno già divorando internamente.

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Prompt: Sparviero

Word count: 650
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Prendere lezioni di falconeria avrebbe aiutato con la sua fobia per i volatili, nella teoria così caldamente espressa da suo padre nel mentre che l'accompagnava verso il campo dove si sarebbe, appunto, allenato. La rivelazione, perchè giustamente non gli era stato detto il motivo reale per cui si stavano dirigendo ai giardini del palazzo, aveva suscitato nel principino una serie di pensieri del tutto poco positivi, che variavano nello specifico tra il trovare il consigliere maledetto che aveva suggerito l'idea a suo padre al prendere e fingere un attacco di mal di stomaco per rintanarsi nel comfort della sua stanza. Entrambe, comunque, prevedevano una metodica e letterale fuga dalla situazione e da quei piccioni oversize che avrebbero sicuramente tentato di ucciderlo.

Gustav lo sapeva, che sarebbe successo esattamente quello. Lo sentiva nelle ossa e nei muscoli, a cui teneva un sacco tra parentesi e che quindi avrebbe preferito tenere intatti e sani e lontani dalle grinfie di qualsiasi falco o aquila o altro essere dotato di ali ed artigli (chi diavolo ha creato esseri simili, per dio!).

Ovviamente, il suo piano va in frantumi - perchè in tutto questo attivo pensare, suo padre l'ha guidato alla loro destinazione e sta già parlando con l'ipotetico istruttore - un uomo che non ha mai visto prima, alto il doppio di lui ed altrettanto spesso, avvolto in abiti di classe dalla testa ai piedi e con uno di quegli esseri demoniaci già comodamente appollaiato su una spalla. 

Gustav lo guarda - il piccione, non l'istruttore - con discreto riservo, teso come una molla pronta a scattare. Gli occhi del pennuto incrociano i suoi un paio di volte ed il principe sente nelle sue viscere un discreto desiderio di fuggire: la bestia sta già studiando come strappargli pezzi di dosso, se lo sente.

"E questo giovanotto dev'essere vostro figlio, Maestà", una voce profonda, che ha sentito ovattata - di sottofondo - fino a quel momento in cui viene interpellato, lo strappa da quella sfida di sguardi tra lui ed il piccione. L'attenzione di Gustav ritorna quindi sugli esseri umani, suo padre e l'altro nobiluomo, un po' spaesato ed ancora rigido come non mai. "Piacere di incontrarvi, Milord. Il mio nome è Claude Blanche e Sua Maestà vostro padre mi ha dato l'onore di diventare il vostro insegnante di falconeria."

Gustav annuisce, lanciando l'ennesima occhiata al volatile, prima di provare a non tremare come una foglia nel presentarsi. "Piacere mio... Um, Sir Blanche. Io sono Gustav Henry Milverton."

Soddisfatto di quel minimo, anche se davvero avrebbe potuto fare di meglio, si limita a concludere con un mezzo inchino di cortesia, prima di tornare a fissare il piccione fin troppo cresciuto. Pare dare un'impressione sbagliata, perchè la sua cautela viene scambiata per curiosità dal nobile, che appunto domanda:

"Vi piacciono gli uccelli, Sire? Alcune specie vengono utilizzate nella caccia, come questo appunto." Una mano coperta da uno spesso guanto di cuoio va ad avvicinarsi alla creatura, che con un'abitudinarietà marcata zampetta sulle sue dita con piccoli passetti. Gustav trattiene il respiro quando la vede aprire le ali e sbatterle un paio di volte per stabilizzarsi, facendo fisicamente un passo indietro - a cui ne sarebbero onestamente seguiti altri, se solo la sua mano destra non sia ancora stretta in quella di suo padre.

"Mio figlio è... poco abituato a questo genere di cose." commenta quest'ultimo, tirando il più giovane avanti per recuperare il passo di poco prima. "Speravo potessi aiutarlo a superare il suo problema con un po' di esperienza, Claude."

Ma anche no, pensa il principe, cercando con discrezione - e fallendo - di liberarsi dal genitore. Purtroppo per lui, la fine pare siglata nel momento in cui il falconiere libera una bonaria risata che, francamente, non dovrebbe essere legale e promette di fare del suo meglio per aiutare il figlio del suo mentore.

Gustav non trova via di fuga da quella situazione.

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Prompt: Drago

Word count: 590
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Tra tutte le qualità per cui, chi lo conosceva, avrebbe potuto fargli sincere congratulazioni (ben poche, davvero) senz'ombra di dubbio spiccavano la sua determinazione e la capacità di completare un incarico a tutti i costi. Quasi. Probabilmente molti avrebbero guardato a quella che poteva essere definita una caratteristica positiva come qualcosa di negativo, chiamandola "testardaggine" oppure anche "ossessione", ma con tutta onestà c'era ben poco che Hisei potesse farsi di quelle opinioni. 

Gli altri non potevano vantarsi di aver scoperto una nuova razza di creature magiche alla tenera età di sedici anni. Gli altri avevano forse un quarto della sua capacità atletica e dei suoi riflessi, specialmente dopo i mesi passati ad evitare di spiaccicarsi al suolo come un incantesimo Meteora e diventare una pozza di capelli rossi e occhi verdi ed ambizione di diventare il miglior fottuto ricercatore di creature magiche dell'intero continente. Grazie tante.

Tornando al presente, comunque, Hisei si era premurato di consultare la sua magnanima genitrice non umana - Mamma Ilkenlast aveva sempre mostrato un enorme supporto per lui e le sue idee, se non altro finchè queste non riguardavano qualcosa di pericoloso o il tentare di fare qualcosa di veramente stupido. Ergo, pericoloso - prima di effettivamente lanciarsi nell'impresa. Il suo 'fratellino' Heilon, pure, si era offerto di accompagnarlo (e praticamente fargli da mezzo di trasporto, dato che solo uno dei due era un drago completo ed in grado di trasformarsi da forma reale a umano e viceversa; l'altro era, a detta di tale drago, "uno sfigato che si ficcherebbe nei guai da solo, o si farebbe mangiare", e siccome tale scenario renderebbe mamma Inlkenlast veramente triste, "per carità degli dei, Hisei, verrò con te").

Ogni tanto, davvero, l'istinto protettivo della stirpe dei draghi aveva un non so che di limitante - non per i draghi di per sè, mai per loro, perchè creature tanto magnifiche ed antiche e potenti non avrebbero avuto bisogno del "permesso" per proteggere o smettere di proteggere ciò che consideravano "loro", ma per i soggetti a quel tipo di protezione. Il giovane ricercatore, fortuna o sfortuna volendo, era stato inserito in questo schema di protezione e, in aggiunta, in quella che si poteva considerare una grande famiglia composta da Mamma Ilkenlast e dai pargoletti (umani, draghi umanoidi o sanguemisto) che questa aveva adottato nel corso degli anni.

Era lì che Hisei aveva inizialmente incontrato Heilon - un giovane drago già in grado di assumere forma umana, sebbene la sua pelle fosse occasionalmente coperta da squame che non riusciva a nascondere ed i suoi canini decisamente più lunghi ed appuntiti rispetto a quelli di un comune umano. Le loro prime interazioni... beh, diciamo che la tenerissima età di entrambi e le esperienze di entrambi non avevano aiutato. Una volta superato il primo muro, tuttavia, erano diventati pressochè inseparabili, finchè ognuno non aveva scelto quali passioni perseguire.

Hisei voleva bene ad Heilon. Sapeva anche che Heilon gliene volesse di rimando. Ciò non cambiava il fatto che se avesse voluto buttarsi a volo d'angelo giù da un ramo per acchiappare un esemplare raro persino della razza, rara già di per sè, su cui stavano raccogliendo informazioni, l'altro avrebbe dovuto avere un minimo di fiducia. Non trasformarsi, acchiapparlo letteralmente per la collottola come un gatto mancato con le sue zanne, e trascinarlo via verso il patheon solo sa dove.

Un drago per amico è raro, per compagno è prezioso, ma per fratello è veramente una rottura di palle.

(Toccategli suo fratello, comunque, e sarà l'ultima cosa che farete mai in vita vostra.)

 


hannyakoma: (Default)
Prompt: Pinguino

Word count: 610
Rating: sfw
Fandom:
Originale
Note:
 //




Eric non si considerava una persona particolarmente eccentrica.

Si trattava del classico uomo di famiglia, con una moglie che aveva sposato per amore e con cui condivideva ora una vita per abitudine, con due figli che (come tutti i bravi fratelli) non si potevano lasciare da soli in una stanza per più di cinque minuti senza che cominciassero a scannarsi per questo o quel motivo, ed infine con un cane che definire affettuosamente "stupido come un posacenere" (metafora a marchio di uno dei suddetti figli, probabilmente sentita da qualche parte a scuola) sarebbe un sincero eufemismo.

Lavorava per un'industria di sviluppo tecnologico, reparto software, e portava a casa una decente somma di denaro per mantenere la famiglia ed accontentare qualche vizio qua e là, sia di sua moglie che dei suoi figli che suo. Perchè onestamente sì, un contentino anche lui se lo meritava, dopo nove ore di lavoro più spostamenti da e verso casa, senza che potesse inserire questi ultimi nella nota spese. Braccino corto di un capo, si diceva. Un giorno sarebbe stato al suo posto, sicuro, continuava poi con tutta l'aria di chi si stava cercando di pompare per vedere il bicchiere mezzo pieno invece che mezzo vuoto (e per evitare di cedere alla tentazione di prendere la stilografica del suddetto braccino corto e ficcargliela in un occhio).

La vendetta era un piatto da servire freddo, aveva sempre sentito dire, però a lui i piatti freddi come il sushi o quegli stuzzichini strani da gourmet fanno davvero schifo, quindi insomma...

Ah, stiamo divagando.

Tutto sommato, quindi, Eric non era mai stata una persona eccentrica, anzi: pareva, dall'esterno, essere il riferimento della normalità più normale tra le cose considerabili normali.

Se non fosse per il pinguino.

Non ricordava quand'era accaduto per la prima volta, quindi nemmeno avrebbe potuto dire da quanto tempo la cosa andasse avanti di conseguenza, ma uno strano pinguino che apparentemente solo lui poteva notare aveva preso a seguirlo in ogni dove lui andasse. Usciva di casa per andare a lavoro? Se lo trovava bello spiaggiato come una foca sui sedili sul retro. Rientrava dopo la settimanale visitina in palestra, giusto per confermare le apparenze dell'uomo normale? Lo vedeva zampettare dalla cucina in salotto, con i suoi movimenti goffi e le braccine-alette che si muovevano tutte per tenere un equilibrio. Se l'era trovato anche in bagno, ad aspettarlo dopo la meritata doccia - e lì aveva quasi urlato, la prima volta, perchè porca puttana non è possibile che sto coso sia ovunque. Manco stessero facendo una replica di Psycho, poi, soprattutto perchè mancava il coltello.

Con il tempo, e per non destare sospetti, aveva preso ad ignorarlo ed esercitare una calma zen del tutto degna di lode. Ed a dirla tutta, si meritava anche un premio come attore dopo che suo figlio minore, Jackie, l'aveva sentito parlare da solo alla bestia malefica (non chiedete, era arrivato al punto di sperare che se avesse dato attenzioni a quell'affare, questo si sarebbe dileguato. Palesemente le cose non erano andate secondo i piani) ed era riuscito a giocarsela divinamente - "è solo una prova per un prossimo sistema intelligente, figliolo, uno che ti parla e ti chiede come aiutarti".

Aveva la certezza che Jackie se la fosse bevuta, perchè un momento dopo era già corso fuori dalla stanza per dire a suo fratello la grande scoperta, con tanto di elogi alla sua persona. Eric era certo di meritarsi il titolo di genio a tutti gli effetti.

E forse lo era veramente, in fondo: tutti i geni sono un po' pazzi, si dice. La prova di Eric era un pinguino stalker che solo lui vedeva.


hannyakoma: (Default)
Prompt: Mare

Word count: 810
Rating: sfw
Fandom:
Originale
Note:
 //




All'arrivo nella nuova dimensione, il mondo si capovolse. 

Reyes non sentì più la terra sotto i piedi, nè il delicato profumo dei fiori di campo che l'avevano circondata poco prima, ed anzi il vento sembrava sferzarle il viso, scompiglindole i capelli ed oscurandole così buona parte della visuale.

Ciò che colpì per primo i suoi sensi, furono i caldi colori del Terzo Sole - le sfumature che molti cieli dei mondi che aveva visitato assumevano al tramonto, quando il sole cedeva il posto nella volta celeste alla luna ed alle lontane stelle.

Poteva essere una questione di nostalgia, ma Reyes li amava. Forse più di quanto avrebbe voluto ammettere, considerando come la sua attenzione fosse stata rapita da essi per più di qualche secondo utile, altrimenti, ad evitare lo schiantarsi di faccia al suolo.

Presa dall'osservare i colori proiettati nel cielo e sulle nuvole, si rese conto con qualche momento di ritardo di essere ancora in caduta libera, infatti. Un attimo dopo ancora, anche del fatto che fosse in mare aperto: sotto di sè si allargava un'apparentemente infinita pozza d'acqua cristallina, salata e limpida come poche volte aveva visto in altri luoghi.

Voltandosi a tre quarti verso il "suolo", fece in tempo a vedere una nave muoversi in maniera del tutto anomala, troppo per essere in un mondo "normale": non percepiva l'energia prepotente, naturale attorno a sè com'era stato per Moebius, bensì focalizzata in pochi punti nel mondo - immaginò che si trattasse di quel tipo di dimensione in cui pochi fortunati, o sfortunati che si volesse dire, potessero sfruttare poteri particolari, o benedizioni divine che dir si voglia.

Avrebbe dovuto domandare conferma, al più presto. Per il momento, avrebbe lasciato la sua sorte in mano a colui o colei che stava comandando il vascello. "No," si corresse mentalmente, "le correnti del mare, più che il vascello."

Non volendo arrecare danno alcuno, ma spinta dalla curiosità più che dalla saggezza, l'unico incantesimo che lanciò la donna su di sè servì ad alleggerire il suo peso, per rallentare la caduta e non pesare troppo nè sulla vela della nave verso cui stava volando, nè tanto meno (in seguito) sulle braccia del suo prode eroe.

Probabilmente quel salvataggio fu uno dei più emozionanti della sua storia, a dirla tutta. Sebbene, a dirla tutta, non fosse veramente in necessità di essere salvata.

Le braccia dell'uomo, comunque, la sorreggevano con sicurezza dopo averla afferrata al volo, post impatto con la vela e scivolamento giù da essa, una sotto le sue cosce (in maniera del tutto propria, da galantuomo) ed una attorno alla sua vita. Reyes, di contro, si sorreggeva con le mani sulle spalle di lui, i lunghi capelli color vignaccia leggermente umidi ad incorniciarle il viso ed a cadere a mo' di tenda attorno al capo dell'uomo, pure.

Sorrise, lei, un'occhiata di gratitudine nelle iridi cremisi. "Grazie, mio salvatore." disse con leggerezza.

L'uomo, dal canto suo, sbattè più volte le palpebre come a volersi schiarire le idee. O forse capire se si trattasse davvero di una ragazza, che stava stringendo fra le braccia ed era appena atterrata sulla sua nave. Sembrò ponderare qualche secondo cosa dire, in effetti, ma qualunque idea avesse avuto in un primo momento parve essere dimenticata in favore di un più schietto- "Da quant'è che non mangia, signorina? E' così... leggera."

Reyes non specificò sul fatto che si trattasse di un effetto magico, optando invece per un'altra domanda. "Accade tutti i giorni che salviate qualcuno caduto dal cielo?"

L'altro scosse il capo, riposizionando le proprie mani per stringerle con salda presa i fianchi e tenerla sospesa in aria con facilità di fronte a sè. "No, in effetti no! Potrebbe essere... sì, direi che è la prima volta." ammise, e se fu affetto in qualche modo dalla mancanza di risposta non lo diede a vedere.

Intanto, attorno a loro, il vento cominciava ad alzarsi portando con sè i profumi del mare e del sole e del legno colpito da entrambi.

Quando finalmente (poco dopo, davvero) i suoi piedi tornarono a toccare il suolo, Reyes si prese qualche momento per osservare il ponte della nave, occupato per di più da tutto quello che uno si potrebbe aspettare di trovare, assieme ad un via vai di marinai che, nonostante la situazione particolare, non sembravano particolarmente turbati dal suo improvviso arrivo.

"Beh, direi che avete fatto un lavoro più che eccelso, sir." Con un piccolo inchino, Reyes ringraziò apertamente per il gesto. "So che non vi servono aiuti in senso magico, ma sappiate che avete la mia gratitudine."

L'uomo, osservandola ancora una volta da capo a piedi, poggiò le mani sui propri fianchi. "Perchè intanto non le offro uno spuntino, miss?"

Reyes, ancora una volta, sorrise ed accettò con gratitudine. Il rumore delle onde accompagnò entrambi, mentre si spostavano sotto coperta.

hannyakoma: (Default)
Prompt: Acqua

Word count: 930
Rating: sfw
Fandom:
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Note:
 TW: tematiche delicate (suicidio).




C'erano una volta, Michi e Uta.

In un villaggio di pescatori, due bambini nascono quasi nello stesso periodo, a distanza di pochi giorni, da famiglie bene o male amiche tra loro. Qualcuno potrebbe pensare che fosse destino, ma vivendo praticamente insieme c'erano poche speranze che non giocassero o quantomeno crescessero l'uno in compagnia dell'altro. Diventano amici di infanzia, quindi, quasi inseparabili nel tempo libero così come nei momenti in cui i genitori cercano di insegnar loro il mestiere della famiglia: essendo lo stesso, non costa veramente nulla ad uno o all'altro padre tirar su uno o due frugoletti da portare sulla barca, almeno per prendere confidenza con l'ondeggiare costante che avrebbe fatto loro da costante compagnia.

La loro infanzia procede, bene o male, senza intoppi sotto quel punto di vista. Qualche piccolo screzio, un litigio qua e là sempre risolto scusandosi a turno, e la vita proseguiva senza intoppi.

Il loro rapporto inizia a cambiare dopo che il padre di Uta viene a mancare durante una sessione di pesca in alto mare in cui Michi e suo padre hanno partecipato. E' un incidente tragico, causato principalmente da una rete mal piazzata ed uno scoglio che sembrava più lontano di quanto non fosse. E' stato Michi ad occuparsi della rete, quel giorno, e la cosa lo uccide dentro sempre di più ogni giorno che passa.

Uta non gli rivolge la parola per giorni, settimane, mesi. Da un certo giorno, smette persino di farsi vedere in giro per il villaggio - di punto in bianco, da sera a mattina - ed i pescatori più anziani gli dicono che manca all'appello una barca dal porticciolo. Michi pensa, molto egoisticamente, che Uta l'abbia abbandonato.

Passano i mesi, forse anche un paio di anni, e all'alba di quello che crede essere il suo quindicesimo anno, Michi pensa di aver superato la parte peggiore della sua giovane vita. Elaborata, perlomeno, superata nella sua mente. C'è ancora chi lo guarda con un sentimento a metà tra la pietà ed il risentimento, ma sono pochi quelli che gli parlano direttamente della cosa - esistono, comunque, quelli che spargono malelingue e superstizioni, come quella arrivatagli alle orecchie settimane addietro: fuochi fatui, apparizioni spettrali a filo dell'acqua poco più in là della riva, ancora increspata dalle piccole onde che si abbattono sul bagnasciuga. Qualcuno dice che sia il fantasma di Yukio, il padre di Uta, o di Uta stesso, tornato per avere la sua vendetta.

Michi, pur nel senso di colpa, non ha mai creduto alle maledizioni o al sovrannaturale - non più di un discreto ed accettabile margine di superstizione - ma al sentir nominare quei due nomi subito gela. Quella notte non riesce a chiudere occhio, nè quella dopo, nè quella dopo ancora.

Quando finalmente crolla, viene accolto da un sonno tormentato.

Nel sogno che gli si apre davanti agli occhi, perchè di quello non può che trattarsi, vede se stesso in piedi sulla barca - un ricordo, dovrebbe essere, ma da un punto di vista che non comprende - ed aggrappato a quello che riconosce essere suo padre per avere stabilità. Non sente rumori oltre quello delle onde che gli schizzano d'acqua il viso, sebbene veda le bocche muoversi come per parlare. 

La scena cambia di improvviso, poi, alla notte maledetta in cui ha indirettamente causato la morte di Yukio: questa volta, non vede altro che scale di nero e grigio, e di nuovo nessuna parola spiccicata dalla bocca dell'uomo. Quello che sente, però, è lo "splash" di quando lui cade in acqua, insieme ad un sonoro "crack" che gli stringe lo stomaco e gli causa al tempo stesso una sensazione di nausea.

Ancora, appena sbatte le palpebre, un altro scenario lo attende. E' notte, e non si riconosce ancora una volta: sa di essere in piedi e che di fronte a sè c'è solamente una distesa d'acqua increspata dal vento a largo della terraferma. La luce della luna si riflette, come su uno specchio distorto, in un gioco di luci e ombre che gli permettono di avere un'idea di dove si trovi.

Poi, d'improvviso, il mondo si ribalta: vede la barca da sotto, adesso, e l'unica fonte di luce attraverso un velo tremolante, sempre più distante. Bolle d'aria risalgono dalla sua bocca verso la superficie, quasi si stessero rincorrendo per fare a chi arriva prima, finchè di aria non ce n'è più.

La visione diventa sempre più appannata, sente bruciare il petto nonostante si trovi ormai sommerso, pesante.

Quando chiude gli occhi, sente il terrore di una fine che tutti dimenticheranno.

.

.

.

Al risveglio, Michi si sente gli occhi bruciare, le guance umide e la gola che brucia, irritata. 

Gli ci vuole un attimo per ritrovarsi, non sa ancora come, sul bagnasciuga distante qualche centinaio di metri dal solito porticciolo del villaggio. Non è certo di come ci sia arrivato, così come non è certo di cosa diavolo sia successo in primissimo luogo. 

Si sente come se avesse pianto, forse. Urlato, anche, sebbene le sensazioni parevano lontane nel tempo - l'ultima volta che è accaduto, se non erra, fu la mattina in cui lui e suo padre tornarono dalla pesca senza Yukio. La notte dell'incidente.

Il ricordo gli causò una serie di spasmi allo stomaco, obbligandolo a rigurgitare sul posto i contenuti di quest'ultimo. Sentì nuove lacrime pizzicargli gli occhi, insieme alla necessità di sciacquarsi la bocca più volte. Per un attimo, però, il pensiero lo inorridì: anche da sveglio, Michi sentiva ancora l'acqua scivolargli giù per la gola, violenta e inesorabile.

Forse non si sarebbe dovuto svegliare.

hannyakoma: (Default)
Prompt: Pioggia

Word count: 630
Rating: sfw
Fandom:
Originale
Note:
 //




La pioggia, a Gealach, aveva sempre accompagnato i cittadini nelle loro giornate. Lo scrosciare costante dell'acqua, i rivoletti che si creavano sui tetti e lungo i viottoli deserti, le goccioline di condensa che si formavano sulle vetrate degli alti edifici, costruiti per una città sviluppata tremendamente in verticale - il quadro che tali immagini formavano suscitava un non so che di meraviglioso, ma anche malinconico negli occhi di chi osservava, fosse esso un locale o uno straniero. 

Gli abitanti, ormai abituati all'ambiente, non parevano fare caso all'apparentemente costante cadere dell'acqua dal cielo (o quello che pareva essere un cielo, ma che era in realtà una volta perennemente coperta da un velo simil crepuscolo da cui venivano generate gocce di vita), accettando con estrema tranquillità il fatto che la loro città fosse immersa in luci artificialmente magiche e lanterne sparpagliate sotto portici, lampioni a lati di negozi ed abitazioni in egual modo, o dai focolari riflessi nei vetri delle finestre.

Gealach non aveva mai attirato l'attenzione di Shadow, perchè la rinomata Città dei Cristalli sotterranea aveva tutto meno che l'aria di un luogo ove trovare un'anima pura: voci, credenze, parlavano di un luogo triste e semi-abbandonato, in cui i pochi che ancora vi restavano ad abitare erano silenziose esistenze che camminavano così in balia degli acquazzoni, come sotto una lieve e piacevole pioviggine, con i loro cappelli-ombrelli che proteggevano almeno il capo e le spalle dall'acqua scrosciante. Non che la cosa sembrasse disturbare alcuno di loro: le voci parlavano di creature vuote, che non si curavano di ciò che le circondava ed anzi proseguivano quel gener edi vita con un'inerzia a malapena sufficiente.

Una manciata di fantasmi, quasi.

Shadow lasciò correre lo sguardo vacuo sulle linee della città, dalle pareti verticali, lungo i cornicioni dei tetti ed infine le guglie delle alte torri che andavano a sfiorare il soffitto dell'immensa grotta in cui si sviluppava la città. Il cavaliere solitario, Hakim, l'aveva indicata come prossima destinazione, tenendo la sua "missione" in considerazione.

Shadow ne aveva parlato con pochi altri - la nobile lady, Deive, residente nel cuore di Teare Blath, e l'anziano Liath della vecchia città di Lanach - ma solamente lui aveva fornito, tra la miriade di parole lanciate in sfida e con arroganza, un'indicazione attualmente utile - o così affermava, certo.

Il pensiero dell'uomo entrò ed uscì dalla sua mente con rapidità, riempiendo per un breve momento l'oscurità in cui riecheggiava una semplice voce, un ordine: Cerca l'anima più pura. 

Una missione che suonava vuota alle orecchie, così come vuota era nella sua anima: poco e nulla ricordava, Shadow, tranne quelle parole che muovevano i suoi passi giorno dopo giorno. Non aveva importanza che si trattasse di dover attraversare corridoi verdeggianti, in cui si era sviluppata una vegetazione quasi senziente in grado - e con tutta intenzione - di divorare i disattenti viaggiatori che vi si addentravano; e nemmeno l'idea di mettere piede nelle terre dimenticate, appena al di fuori di Naohm, ove si diceva abitassero creature mostruose e pronte a far delle loro sfortunate prede un facile spuntino.

Nulla di tutto quello importava, nè tanto meno il gelo che le fredde gocce di pioggia portavano sulla pelle già pallida di Shadow. Forse avrebbe dovuto accettare l'offerta del giovinetto alle porte della grotta-città, di prendere a noleggio un copricapo per evitare di inzupparsi da capo a piedi. Per una questione di efficienza più che di comodità o bisogno: un po' di pioggia, onestamente, era l'ultima delle cose per cui avrebbe potuto provar preoccupazione.

Un pensiero sfuggente, come la goccia che scivolava via dalle ciocche pregne per schiantarsi al suolo. Un singolo suono perso nella miriade di centinaia, migliaia di altri suoi simili.

La sua avanzata riprese.


hannyakoma: (Default)
Prompt: Sereno

Word count: 540
Rating: sfw
Fandom:
Originale
Note:
 //




Erano giornate come quella, con il cielo privo di nubi ed una piacevole brezza che soffiava tra le fronde degli alberi, che la vita si poteva veramente definire "piacevole". Poche cose finivano con il turbare l'esistenza di Yuriho in momenti come quelli, ed in genere ciò comportava l'apparizione di uno spirito maligno, maledizione o demone che richiedeva la sua immediata attenzione. 

Al di là di quello, era raro che si scomodasse dalle sue "giornate di riposo" per fare qualcosa che non fosse un rilassante oziare, riposare e riprendersi dalla stanchezza accumulata nei giorni passati e prepararsi a riprendere la caccia direttamente il giorno dopo. Quello restava però un pensiero per la se stessa di domani.

Il porticato che dava sul cortile interno della tenuta aveva il pregio indiscusso di essere baciato dal sole per una buona parte della giornata, il che lo rendeva un luogo ideale per chi desiderava passare un po' di tempo in tranquillità ed in compagnia dei suoni della natura - l'acqua del laghetto delle carpe, la cui superficie veniva increspata dai salti di queste ultime; il ritmico ticchettio di un picchio su uno degli alberi più vicini (a cui avrebbe dovuto effettivamente lasciare un po' di mangime, dato che l'aveva fatto recuperare giusto ieri da suo fratello per lui e per le altre bestiole che vivevano tra le fresche fronde).

Mancavano solamente dei dango ed una buona tazza di tè verde per completare il tutto, a detta sua.

E per assurda coincidenza del destino, poco dopo che il pensiero si fu materializzato nella sua mente, il cadenzato rumore di passi a lei familiari si fece sentire dal corridoio interno che portava a dove stava lei. Percepì le lievissime vibrazioni sul legno prima ancora di vedere la figura di suo fratello apparire da dietro l'angolo.

"Ah, eccoti!" comincia lui, con l'entusiasmo di un bambino effettivamente troppo cresciuto. "Ho provato a chiedere a Yuki, ma non ti aveva visto qui."

Lo so, avrebbe voluto rispondere lei, perchè non mi sono fatta vedere. Gli dedicò invece un sorriso, piccolo ma realmente sentito.

Senza farsi il minimo scrupolo, Satoru si sedette accanto a lei sul porticato, porgendole un sacchettino che riportava la marca di un famoso negozio di dolcetti prima ed una lattina di tè fresco subito dopo. A volte Yuriho si domandava se, per qualche strana combinazione astrale, non condividesse più con il fratello di quanto fossero i semplici geni, il colore di occhi e capelli e bene o male la stessa linea di lavoro.

Che esistesse un collegamento anche mentale, forse? Oppure, più semplicemente, sapendo che Satoru sarebbe tornato a breve dal suo ultimo incarico, si era aspettata che rientrasse con un pensierino. Un po' come faceva sempre.

A prescindere da tutto ciò, comunque, Yuriho si prese il suo tempo per aprire il sacchettino ed esaminarne i contenuti: dango, dorayaki ed infine taiyaki.

"Ti devi far perdonare di qualcosa, Satoru?" gli domandò, voce piatta ed incapace di trasmettere il divertimento di quello che era sarcasmo.

L'espressione offesa - fintamente - dell'altro la fece quasi ridere.

Quei momenti semplici, di tranquillità, erano qualcosa di cui aveva tremendamente sentito la mancanza. Sebbene si trattasse solo dello scemo di suo fratello che faceva, appunto, lo scemo.

hannyakoma: (Default)
Prompt: Distruzione

Word count: 300
Rating: sfw
Fandom:
Originale
Note:
 Velocissimo e probabilmente meglio sviluppabile con più parole. Ability Users Stuff!




There had always been a strange itch under Emma's skin, since... well, forever. It wasn't a painul thing, really, just terribly annoying, given that no matter what she did, it wouldn't go away. And the problem was that the cause was something she couldn't control, nor turn on and off as she wished.

She never found it too unbearable, but sometimes wondered: what if she just let it go, sometimes? Would it ease that infuriating sensation?

"He's dead."

Emma probably hadn't heard very well the first time, so she asked again. "Where is he?"

Her interlocutor looked at her with something akin to pity in his eyes, then steeled himself and repeated his previous words. She still didn't think she heard that part well.

A hand flew to her nape, scratching her skin in an empty gesture. It didn't ease her itch, but it was done out of reflex... so it somehow helped a little.

"Okay. How?" she asked then, voice carefully leveled as she spoke.

After the official explained it, she felt equally nauseous and aggravated. Still, she thanked him for the valuable information and exited the law court on her own, stopping only steps shy from the entrance. 

Her most important person, gone like that, because someone else defined him as a "sinner" in the face of justice - and apparently, others thought in the same way. A hand rose from her pockets, her fingers ready to snap.

"Well then, let's eradicate all sinners." 

She let go.

Suddenly, a blazing inferno exploded in the building behind her. Pained screams, terrified and hurt, began echoing in the street and adjacent buildings.

Turning back, green eyes were met with a kind of destruction she found... appealing. 

The itch finally began to subside.

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Prompt: Creazione

Word count: 3400
Rating: sfw
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Originale
Note:
 UNEXPECTED 3,4K.



Sin dal primo momento in cui la Volta Oscura incontrò gli Astri, divenne chiaro che il comune esistere sarebbe stato stravolto. 

La leggenda narrava che in principio la convergenza della loro energia, contrastante e complementare, originò quella che venne poi chiamata Landa dei Tre Soli: una terra in principio spoglia, priva di creature, ma nel suo piccolo viva e pronta ad accogliere coloro che vi avrebbero trascorso la loro esistenza.

Per secoli e secoli, essa rimase prigioniera dell'influenza delle Ombre, presagi ed emissari della Volta, e solo in seguito a lunghe evoluzioni, cicli di morte e rinascita e guerre decennali tra le creature generate dalla terra, si raggiunse una nuova fase della "storia". 

Gli esponenti di alcuni clan terrestri, guidati dalla saggezza dell'Oracolo Astrale, decisero di comune accordo di porre fine alla follia causata dall'influsso della Volta Oscura e formare un'oligarchia per regnare sulle terre con ordine, in pace. Per fare ciò, tuttavia, avrebbero dovuto richiamare dall'arcata divina la benedizione dei Tre Soli - le uniche entità in grado di rivaleggiare con gli emissari della Volta stessa.

Su indicazione e sotto la guida dell'Oracolo, innumerevoli vassalli vennero selezionati per accogliere l'immenso potere arcano delle stelle, tuttavia molti di loro finirono per essere annientati da quello stesso potere: incompatibili, deboli - gli aggettivi e le cause avrebbero potuto dirsi infiniti. Vi furono lunghe e penate ricerche per trovare i "veri prescelti" invece che quelli che, in seguito, vennero definiti "fallimenti" con aria di spregio, quasi odio. 

Era triste, dando un giudizio postumo, vedere come coloro che non avevano mai dovuto sacrificare nulla di caro a loro giudicare così pesantemente i soggetti di quelli che, a conti fatti, erano terribili esperimenti per legare il divino al mortale. Come se fosse un qualcosa di facilmente ottenibile, o perdonabile.

Nel corso degli anni, di fronte ai continui vicoli ciechi raggiunti, i terrestri cominciarono a perdere le speranze e la fiducia in quell'entità che li stava guidando: l'Oracolo, in fondo, era apparso un giorno dal nulla, annunciandosi come giunto per accompagnarli verso un futuro ove avrebbero potuto vivere con uguaglianza e pace. Una promessa che avrebbe potuto suonare vacua alle orecchie di coloro abituati ad un clima opprimente, di conflitto, ma anche come una dolcissima tentazione.

Quando il punto di rottura stava per essere raggiunto, con il malcontento ed il terrore che stavano già per ricatturare le anime dei più deboli, tuttavia, il primo dei prescelti fu finalmente trovato: una fanciulla con i colori del cielo, di un azzurro sfumato di tinte rosee, e gli occhi di un colore dorato, caldo e vibrante come il sole nascente. Fu definita la Portatrice dell'Alba, come a significare l'inizio di un nuovo e luminoso futuro dopo innumerevoli notti buie e senza speranze.

Con la sua mera presenza e potere, le lande cominciarono a produrre più frutti, e la popolazione a rinascere con nuova energia: l'effetto del primo Sole era quello, donare e favorire la vita, nascita e rinascita in ogni sua forma. Che fosse inteso nel senso letterale, emotivo o psicologico, tale era il suo dominio.

Così, una nuova speranza fiorì negli animi dei terrestri. L'Oracolo sorrideva, spiegando che la parte peggiore e più complicata era ormai passata: con il tempo, spiegò, gli altri Soli sarebbero stati naturalmente attratti dalla presenza del Primo e si sarebbero manifestati a loro con il dovuto tempo.

Il fatto che la speranza fu ripristinata, comunque, ebbe un effetto rinvigorente nei ricercatori dell'arcano. Gli esperimenti continuarono, e continuarono forse in maniera più aggressiva rispetto a com'erano svolti in precedenza: la pazienza non rientrava nelle abilità dei terrestri, ed ora che ben uno dei tre astri si era presentato a loro, gli animi provavano un collettivo senso di impazienza, insieme al desiderio di avere "tutto ora, immediatamente".

Travolti dall'euforia della vita, nessuno pareva voler considerare o ricordare che i potenziali prescelti sarebbero andati incontro ad un destino ben poco favorevole.

Vi furono non pochi malcontenti, comunque, quando la reale natura delle "ricerche" sui vassalli, principalmente a creare quello che realmente poteva solamente manifestarsi, finì con l'essere rivelata alle masse: l'eccitazione e la speranza provate fino ad allora assunsero un retrogusto più amaro, nello scoprire che tutti i volontari - giovani speranzosi di poter aiutare il loro mondo, i loro cari, a cui era stato promesso il titolo di Eroi della Landa - venivano trattati come meri numeri, fallimenti da dimenticare prima di passare al successivo tentativo.

Per rendere meno sgradevole quel boccone, purchè solamente fosse una questione di apparenze, l'Oracolo intervenne per placare gli animi: i sacrifici erano necessari, disse, e quello che così tanti avevano offerto per una causa più grande non sarebbe mai stato dimenticato. Allo stesso tempo, aggiunse con una caritatevole pacatezza, fin tanto che coloro che ancora camminavano su quella terra non avrebbero abbandonato il ricordo, nessuno dei Martiri sarebbe mai morto realmente.

Parole dolci, ancora una volta atte ad indorare la pillola e rendere più piacevole l'idea di un massacro a senso unico. 

Nonostante il tentativo di placare le masse, vi fu ugualmente una fazione che si oppose alla continuazione di quella pratica immorale, e che tentò di aggravare almeno gli animi incerti sulla loro posizione - i più timorosi di andare contro alla maggioranza, ma che in cuor loro covavano dubbi a riguardo della "correttezza" che tanto veniva predicata. Ancora una volta, nella storia si scrisse pagina dopo pagina di scontri ed ostilità, scritte con il sangue di quelli che vennero ultimamente etichettati come Eretici o portatori delle ombre.

Lo scontro di idee e la sua tremenda fine causò maggiore malcontento, finchè almeno ciò non fu messo da parte in favore di un nuovo, lietissimo evento: il secondo Sole, tanto atteso e cercato, finalmente si manifestò in tutta la sua piacevole gloria. Un giovane nel fiore degli anni, anch'egli nato con in corpo le tonalità del cielo terso - gli occhi di un azzurro intenso, incorniciati da ciocche color platino.

Con il suo arrivo, le creature della landa cominciarono a giovare di una vita più intensa, più "viva" per mancanza di migliori termini: il senso di insoddisfazione, la mancanza di qualcosa che rendesse un'esistenza piena di caos e sofferenza più piena, quel vuoto esistito da sempre nel petto dei terrestri sembrò essere rasserenato, colmato almeno in parte da quell'esistenza misteriosa e divina. Egli ricevette il titolo di Anima dello Zenit, con onori e lodi per la buona sorte che avrebbe portato al futuro.

Negli anni in cui venne trovata l'incarnazione del secondo Sole, vi fu un fondamentale cambiamento nella landa: i clan sostenitori della battaglia sacra scelsero di riorganizzare i loro ranghi, creando un più effettivo organo amministrativo delle terre. Un'oligarchia venne così formata, i cui capi cominciarono a definirsi "nobiliari" con il passare del tempo. Di conseguenza, il resto degli abitanti della landa cominciarono ad essere passivamente definiti "comuni", un'etichetta che non cambiava per nulla le loro sorti o le loro vite ma che con il tempo avrebbe contribuito a definire la struttura gerarchica della landa.

Sotto la protezione di due Astri, le terre ed il loro popolo raggiunsero forse la crescita maggiore che avrebbero mai potuto sognare in altri tempi: dagli insediamenti radi e sparsi, salvo forse un o due dei più espansi, sorsero intere città e villaggi, quali arroccati sulle montagne perchè "più vicini al cielo ed alle stelle che li proteggevano" e quali invece più placidamente espansi nelle pianure, con fiorenti coltivazioni a fare da cornice ai confini degli stessi. Il centro dell'evoluzione divenne la città principale della landa, capitale e sede non solo del tempio istituito dalle casate nobiliari, a cui capo venne eletto l'Oracolo, ma anche dell'ora ufficializzato istituto di ricerche arcane - un pomposo e ben più appetibile nome per quelli che non erano altro che folli ricercatori, pronti a tutti per scovare nuove possibilità in campo di magie e divinità.

Così, la vita continuava e si aggrappava ad un senso di esistenza sempre più solido, più reale. Persino quella che era stata l'origine di tutto, ancora fresco nella mente degli abitanti della landa ma al tempo stesso così vissuto, quasi lontano, venne accettata e validata come "parte" di un disegno più grande, non solamente di un mito di origine.

Il conflitto tra la Volta Oscura e gli Astri, rimasto una stranamente silenziosa costante nella crescita di quel mondo, finì con l'essere messo quasi in secondo piano, surclassato dalla rapida evoluzione di una comunità fiorente e dalla continuazione della ricerca dell'ultimo elemento che avrebbe garantito, finalmente, una possibilità contro un nemico superiore.

A volte sembrava quasi che i terrestri avessero convenientemente dimenticato che vi fosse una guerra divina in corso, a causa dell'illusione di pace che si stava instaurando. Ma non è forse così che gli déi combattono? Dietro le quinte, mandando avanti le loro pedine e mai rivelando le loro reali forme?

In ogni mondo conosciuto era sempre stato così, eppure per una landa appena nata non si poteva parlare di esperienza, di storia da cui trarre insegnamenti.

La pace creatasi fu spezzata brutalmente, all'improvviso - come in ogni dimensione, le cose belle non sono destinate a durare - quando un giorno le Ombre cominciarono ad assalire insediamento dopo insediamento, partendo da quelli più lontani dalla capitale. 

Richieste di aiuto, di essere salvati, cominciarono a piovere a dirotto sulle casate che avevano in mano il potere, così come sul tempio delle stelle: gli abitanti della landa, per quanto potessero tentare di resistere grazie alle benedizioni dei due Soli, restavano impotenti contro il puro caos incarnato dalle Ombre. Insediamento dopo insediamento cadde sotto l'apparentemente inarrestabile avanzata degli emissari della Volta, suscitando un rinnovato terrore e desiderio di sopravvivere nelle creature della landa.

L'oligarchia, con la situazione ormai quasi giunta al punto più critico, era ad un passo dall'inviare le incarnazioni stesse sul fronte per terminare quella che a tutti gli effetti era un'invasione in piena regola. Ancora una volta, però, l'Oracolo interruppe la loro iniziativa, con parole velate di mistero: non vi sarebbe stato bisogno di commettere atroci sacrifici, perchè per quanto forti i poteri dei primi due Soli essi non incarnavano l'essenza "corretta" per avere a che fare con i loro nemici giurati. Solo e soltanto il terzo vassallo, presagio della fine, possedeva l'autorità ed il potere necessari ad arrestare anche altri portatori di divinità.

Fortunatamente, o forse perchè già scritto nel Destino, presto giunse voce dai villaggi più lontani: gli inviati dal Caos stavano cadendo uno dopo l'altro, luogo dopo luogo ove avevano portato distruzione pareva rinascere lentamente com'era già accaduto un tempo, alle origini della landa. Una singola figura, stando ai superstiti, si stava facendo strada nei ranghi nemici come un lampo, ed altrettanto rapidamente stava portando distruzione tra di essi. Il colore cremisi, come gli occhi della fiera fanciulla, divennero un Presagio della Fine - e tale fu il soprannome che le venne dato dai comuni.

Ancora una volta stupiti dall'abilità di preveggenza dell'Oracolo, i nobili signori gli si rivolsero per essere guidati ancora una volta sulla corretta via. Una volta recuperata l'incarnazione del terzo Sole, terminata la sua operazione di eradicazione delle Ombre, tutti i pezzi sarebbero stati al loro posto: avrebbero potuto cominciare attivamente a muoversi per eliminare completamente l'influenza della Volta Oscura nel loro mondo, ed ottener quindi pace e prosperità nella loro terra.

Tale era il piano iniziale, indubbiamente. Però all'udire tale affermazione, l'Oracolo si rivolse ancora ai signori che egli stesso aveva aiutato a far sedere sui loro "troni": avevano raggiunto a malapena il punto di inizio e già volevano lanciarsi in una battaglia di titani e divinità? Ancora una volta, l'impazienza stava offuscando le loro abilità, affermò. Avere le armi per affrontare una battaglia non avrebbe garantito la vittoria, non senza la certezza data da un buon piano e da un'effettiva soluzione alternativa, ove le cose non avessero seguito le linee da loro immaginate.

Esercitare pazienza, come sempre, non rientrava tra i favori dei signori - alcuni, i più impazienti, proposero anche di ignorare i suggerimenti dell' Oracolo, poichè ormai dato che avevano le incarnazioni degli Astri non sarebbe più servito un tramite delle divinità. Altri argomentarono, invece, che sarebbe stato stupido mettere da parte ed inimicarsi lo stesso, dato che fino a quel momento l'Oracolo aveva non solo guidato la loro crescita al punto di splendore a cui erano arrivati, ma anche fornito supporto morale al popolo, levando così loro un'incombenza aggiuntiva.

Pareri contrastanti, simili a questi ed al contempo ognuno con le sue sfumature, inondarono i facenti parte all'oligarchia, fin tanto che una proposta non venne lanciata: creare una figura, a detta dei nobili sotto il loro controllo, che avrebbe potuto compiere azioni altresì scomode per loro e prendersi la colpa per eventuali malcontenti. Un capro espiatorio, con il potere e l'autorità dalla sua, affiancato da consiglieri fidati: un Sovrano.

Nel frattempo, altri cambiamenti occorsero nella struttura della landa. Su raccomandazione dell'Oracolo, come da profezia, una volta che tutte e tre le incarnazioni si sarebbero manifestate sulla terra, queste non si sarebbero mai dovute riunire nello stesso luogo - essendo recipienti di un potere più grande di loro, potenti ed al tempo stesso fragili, se fossero entrati in contatto l'energia contenuta in ognuno di loro sarebbe entrata in risonanza con quelle degli altri, risultando in un paradosso esistenziale.

Non esiste Vita senza Inizio, e nessuna delle due senza Fine. Al tempo stesso, non si avrebbe Fine senza Inizio, nè tanto meno tutto ciò che traspare tra le due.

Il rischio era che i tre vassalli si sarebbero distrutti a vicenda, portando con sè il mondo stesso, così come che essi stessi annullassero gli uni la divinità degli altri, lasciando così la landa senza possibilità di contrastare il nemico maggiore. Era tassativo che, quindi, questi restassero in posizioni strategiche così che le benedizioni avessero effetto, ma che queste fossero sufficientemente distanziate tra loro per evitare il rischio di risonanza.

Due nuovi santuari furono eretti nelle terre della landa per ospitare le incarnazioni, mentre una di esse venne ospitata in un edificio già esistente.

La Portatrice dell'Alba nel cuore della capitale Cardell, al tempio dell'Oracolo.

L'Anima dello Zenith alla Fortezza di Euthoria, al confine con l'area montana.

Per ultimo, il Presagio della Fine alla Torre di Udinore, oltre le vette innevate della catena Reezvayn.

Sempre stando alla leggenda, da quel momento di stallo la landa ebbe un florido periodo di mondanità, a cui con rapidità disarmante l'intera popolazione sembrò abituarsi: l'avere non solo tre protettori divini, ma anche un sovrano che pareva avere a cuore la vita e la crescita di quello che era divenuto il suo regno, più che del mantenere buoni rapporti con la vecchia oligarchia, sembrava aver gettato i terrestri in uno stato di piacevole tranquillità - distrutta solo, occasionalmente, dalla comparsa di gruppi di Ombre che venivano prontamente trattati con i dovuti riguardi dalle giuste entità.

Ogni qualsivoglia altro "problema" non era nulla di cui preoccuparsi, no davvero: se erano riusciti ad impossessarsi, dei comuni mortali, del favore delle entità astrali, cosa mai avrebbero dovuto temere d'altro?


*


Un sonoro "thump" andò ad accompagnare quelle ultime parole della donna, seguite da un sorriso pacato. In risposta, un versetto di insoddisfazione misto a lagna lasciò le labbra dei due bambini all'ascolto quasi contemporaneamente, nemmeno si fossero sincronizzati.

Reyes emise una piccola, breve risata, che parve far aggrottare le sopracciglia dei suoi giovani ascoltatori ancora di più. "Cosa c'è? Non vi piace il finale della storia?"

"Ma non è un finale!" "Ma la storia non può finire così!"

Ancora una volta, le risposte arrivarono contemporaneamente. La donna scosse il capo, lunghi capelli color vinaccia mossi dal gesto contro la sua schiena, e si rialzò dal tavolo a cui stava seduta, portando con sè il massiccio tomo da cui stava leggendo. Qualche passo più in là, seguita da due paia d'occhi ancora pieni di curiosità, andò a posare lo stesso su uno scaffale, in mezzo ad altri suoi simili. Le sue dita affusolate andarono ad accarezzare la copertina, prima che si voltasse nuovamente verso i bambini ancora seduti al tavolino. 

Notò come, presi dalla narrazione, nessuno dei due aveva finito il tè che gli aveva servito, nè i biscottini al cioccolato e granella di zucchero preparati sul piattino al centro della tavola.

"Non tutte le cose possono finire come desiderate, piccoli miei. Guardate, nemmeno voi avete finito per bene la vostra merenda, no?"

Entrambi i giovinetti guardarono prima lei, poi le rispettive tazze lasciate a metà, poi ancora lei. La piccola, Hikari, fu la prima a parlare nuovamente, come se colta dall'illuminazione. 

"Quindi se finiamo la merenda, dopo ci racconti il finale della storia?!"

Una risata, ora completa e piena, sfuggì alle labbra di Reyes a quell'idea strampalata: ah, beata innocenza!

"Ve l'ho detto, la storia è già terminata. Non c'è scritto altro nel libro, quindi temo che il resto stia a voi." replicò con pazienza, portando le mani ai fianchi. L'espressione dei bambini ancora non sembrava convinta, per niente. Fu allora che un'idea la colse. "Mmh... se non siete soddisfatti, perchè non pensate voi a come potrebbe finire? A dirla tutta, anche io sono piuttosto curiosa. Che ne dite? Vi sembra uno scambio equo?"

La proposta fu accolta con incertezza, all'inizio, poi con crescente entusiasmo. 

"Possiamo metterci i robottoni?" domandò il bambino, Hiro, strappando l'ennesimo sorriso alla donna.

"Potete mettere tutto quello che volete. Sarà il vostro finale, dopo tutto."

Poco dopo quel breve scambio, i genitori dei bambini riemersero dalla moltitudine di scaffali di cui era costellato il negozio, ognuno con i prodotti da acquistare nel rispettivo cestino. Reyes si congedò brevemente dai bambini per adempiere al suo lavoro di proprietaria del negozio, ufficializzando la compravendita con le due donne.

"Grazie per averci guardato le due pesti, Rei."

"Fare shopping con i bambini è sempre un impresa, tranne qui!"

Le due donne, madri dei rispettivi bambini, erano clienti abituali del suo negozio e Reyes (Rei, come si faceva chiamare per comodità da loro) aveva preso in simpatia sia loro che i due piccoli. Mentre le due giravano con calma gli scaffali in cerca di prodotti che le interessassero, non avendo di meglio da fare nel frattempo, la proprietaria si era offerta di curarli finchè non avessero finito. 

Reyes era persino cosciente di come, vedendo i figli così presi dalla narrazione, le madri avessero fatto uno o due giri extra, per non interrompere. La cosa ovviamente non le aveva pesato minimamente, anzi.

Al termine delle transazioni, le due coppie di mamma e figli si congedarono con un caloroso saluto, mentre Reyes li salutava dall'ingresso del negozio. La campanella tintinnò un paio di volte quando chiuse la porta, rientrando, prima di ammutolirsi di colpo.

"Milady è fin troppo amichevole con gli abitanti di questa dimensione." Una voce profonda, maschile, con una punta di derisione le giunse alle orecchie.

Dall'angolo della stanza che collegava il negozio al retro, e poi al piano superiore ove Reyes viveva, la familiare figura di uno dei suoi due famigli - eredità e dono della sua "famiglia" - la squadrava con aria quasi seria. 

La donna fece spallucce, gettando un breve sguardo al tomo che aveva retto fino a pochi minuti prima, e poi voltandosi verso una pigna di cristalli ancora da smistare che l'attendeva sul bancone da lavoro.

"Non c'è nulla di male ad essere cortesi, Garmr. La gentilezza non è mai costata nulla."

Garmr - ora in forma di un giovane uomo dai lunghi capelli color notte, occhi blu acceso e pelle baciata dal sole - sbuffò sonoramente, come divertito alla sua affermazione, prima di congedarsi a sua volta dalla stanza con un'aria quasi stizzita ed una rigidità in corpo che la donna riconobbe come rabbia inespressa, trattenuta.

Lo sapeva, Reyes, che cosa voleva dirle con quella reazione. La gentilezza non è mai costata nulla a chi poteva permettersi di offrirla, a chi stava in una posizione di potere tale da non dover temere che quella stessa cortesia diventasse un'arma contro di sè.

La leggenda della Landa dei tre Soli, che aveva appena narrato, ed il suo vero finale (omesso volutamente dalla ricostruzione della storia) erano la prova lampante di tale affermazione - lo sapeva Reyes, così come lo sapeva Garmr.

 

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Prompt: Riunione

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 /



The sound of steps, walking down the marble paved corridor, echoes around. In the midst of a silent wing of the academy, the man knows his most precious is close: the feeling in his chest, in his stomach, in his whole body - the emotion is filling his mind and soul, to such an intoxicating extend that not even the strongest, wisest man could stop at that point.

But, is it really right to call man such a thing?

The harbinger of chaos and corruption to the world is what he is. 

Such a creature shouldn't be allowed to exist.

Yet, it does - has been for millennia, hidden away in the darkness below the earth. But now? Now it's ready to present itself to the world.

The door he reaches flies open with an high-pitched creak, thumping loudly against the walls from the force it was shoven with. Before it, she stands.

Elegant. Beautiful. Silent, even in her surprised state.

She is here. 

And oh, the beast can't almost believe its senses.

She is here and is looking at him with concerned eyes - her pure, bright irises are staring back at him and the man (the part of 'man' the harbinger still has) screams with delight in his mind. 

Were sentiments always so powerful in it (him), that a glance managed to cause such a reaction? Was her appearance always as such, that he felt like crying because of her graceful figure?

But oh, nothing should matter more than covering the last few steps and caging the lovely, ethereal creature before him with his strong arms.

"Ahh, I've finally found you..."

Those words slip out of his mouth, silky and yet trembling with sincere emotion, reverence...

There's no way they'd let her go now. Ever.

 
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Prompt: Riunione

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 /



La sensazione di vuoto che aveva sentito nel petto, all'inizio del suo viaggio, non era qualcosa a cui si sarebbe potuto mai abituare. 

Era stato difficile accettarne la presenza costante, agli inizi, ed ancora peggio parlarne con altri. Se ci avesse provato, suo padre l'avrebbe schernito persino da Rheias, affibbiandogli aggettivi denigranti che nessuno avrebbe mai dovuto ripetere. E, col senno di poi, probabilmente avrebbe compreso che questa era l'origine della sua chiusura.

I suoi ex compagni di viaggio - amici, offrì la coscienza - avrebbero compreso, ma questo lo sa ora. La loro presenza aveva rappresentato tanto, per un periodo della sua vita, forse persino il migliore che avrebbe mai potuto ricordare.

Il giovane sbuffò dal naso, con un lieve sorriso ad increspargli le labbra: era un gruppo formato da pezzi danneggiati, capitoletti di altre storie che si rifiutavano però di essere letti e dimenticati. 

Aveva imparato ad apprezzare tante piccole cose proprio grazie a loro.

"Zaaazie!" 

Una voce lontana lo chiamava, con quel nomignolo tanto irritante quanto familiare. Poco lontano, Sihan si stava sbracciando per attirare la sua attenzione dal luogo ove si erano dati appuntamento. A fianco di lei, la familiare ed imponente figura di Jin perdeva di minaccia a causa del bandolo di coperte e versetti incomprensibili di bambino tra le sue braccia. Infine, appoggiato contro la parete esterna dell'edificio, il suo riluttante amico di avventure e irascibile capitano delle guardie Reizo aveva già preso a sbuffare.

E pensare che gli aveva dato anche il giorno libero, per quello.

"Ci sono, ci sono. Quanto casino fai."

"Ehi, ehi, Riri... non criticare la mia bambina."

Uno sbuffo fu la risposta a Jin, seguito da una spallata amichevole appena gli fu accanto. Entrando tutti insieme alla locanda, non potè non pensare di essere a casa, finalmente.

 
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Prompt: Riunione

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 /



Le riunioni condominiali sono il male. E' un dato di fatto.

Luigia, nel corso della sua lunga vita di ventenne, ha già avuto il discutibile piacere di ritrovarsi con altre cinque persone (o chi per esse) a discutere di questo o quel cambiamento da apportare alla palazzina in cui vive. Una palazzina di almeno trent'anni, se non quaranta, che ha visto tante famiglie e single occupare gli appartamenti quante sono le crepe sulla vernice esterna dell'intero edificio.

Per ora, comunque, i proprietari sono ancora gli stessi da un bel pezzo: coppie di anziani, pensionati per la maggior parte, una famigliola con due bambini a cui Luigia tirerebbe volentieri uno scappellotto formativo per tutte le urla che cacciano ad ogni santa ora del giorno, ed infine se stessa, una donna single con tre gatti ed un cactus che cerca di non rompere le palle a nessuno.

Parola chiave: "cerca". 

"Non mi convince," dice, ed è subito un silenzioso lamento da parte degli altri partecipanti alla riunione. Amministratore incluso. "Dico, questa cosa del rifare l'esterno dell'edificio, non dovrebbe essere una cosa comunale? Dato che siamo in centro storico e loro già ci controllano i colori da usare, perchè non dovrebbero pagare anche per rifarla da capo? E' sempre estetica."

"Perchè, come dicevo già prima, sono previste delle agevolazioni per i lavori, ma il costo iniziale deve essere sostenuto dai condomini. Questo perchè-"

"Sì, sì. Perchè il comune non può pagare per rifare tutti gli edifici vecchi del paese. Blah blah."

Luigia a quel punto si richiude nel suo, perchè tutti sanno già che non ci sarà una conclusione quel giorno per quella specifica faccenda. Non ci sarà nemmeno un domani, se ci sarà bisogno del cento percento per l'approvazione del tutto. Luigia sicuro dirà "no", fanculo gli altri.

 
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Prompt: Utopia

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Note:
 Sta roba ha poco senso, però si presta al prompt. Scritta puramente come presa in giro, nell'ottica che le fantomatiche Mary Sue abbiano chiaramente la strada spianata davanti a loro.




Nella lontana landa del Sol Levante, sede e terra di avventure (o meglio, disavventure, perchè ogni disgrazia o profezia o invasione aliena sembrava prediligere quell’arcipelago, e nello specifico la città di Tokyo), una nuova giornata si staglia davanti agli occhi dell’adorata protagonista.

Dalla cima di un grattacielo, in un appartamento di lusso che le è stato offerto in dono da un aitante CEO di un’aziende tecnologica (dopo che la suddetta ha incontrato accidentalmente e altrettanto per casualità salvato da una situazione scomoda il padre di costui) insieme ad un lavoro ben pagato, la lady osservava adorante le luci della caotica città sottostante.  

Mary Sue è una ragazza semplice ma intrigante, imperfetta ma senza difetti, colei che con un semplice gesto del capo è capace di far girare la testa anche al più tremendo dei villain, e non solo a lui.

Questa creatura divina, ma anche modesta, bellissima ed al tempo stesso "normale", può approcciare chiunque le passi per la testa e naturalmente riuscire ad ottenere qualsiasi informazione, o favore, o gesto si aspetti senza il minimo sforzo. Perchè per lei ogni persona o animale o oggetto cosciente di suo interesse, amoroso e non, è ben portato ad aiutarla a realizzare i suoi sogni. 

Naturalmente.

Ebbene, Mary Sue oggi è pensierosa. Ovviamente, siccome non è una ragazza piena di pensieri ma che riflette costantemente sul senso della vita e delle cose, per trovare soluzioni ai problemi di tutti e non far perdere loro tempo alcuno nel risolverli- ah, dove volevamo arrivare con questa premessa?

...

[System] La narrazione deve proseguire.

... Ah-ehm.

Cosa potrebbe mai turbare la mente serena ma caotica, ricca ma modesta, di una così perfetta creatura nell'intero creato più creabile?

"Mia dea, cosa ti turba?" chiede il membro numero uno del suo personalissimo harem di più che amici ma meno che amanti, perchè altrimenti chissà cosa potrebbero pensare tutti gli altri! Mary Sue non è quel tipo di ragazza, no: non farebbe mai un torto a persone che le vogliono bene, scegliendo uno piuttosto che un altro. Tanto vale vivere tutti assieme, in una realtà meravigliosamente pacifica e di collaborazione ed accettazione reciproca.

Un'utopia, si direbbe.

Ovviamente, Mary Sue non potrebbe rivelare la profondità della sua preoccupazione, quindi risolve con un misterioso battere di ciglia ed un sorriso enigmatico, che accompagnano un "non preoccuparti, caro" così dolce e ricco di affetto da far impallidire le divinità dell'Agape. Altrettanto ovviamente, il fanboy cede alla bontà della sua adorata e non porge ulteriori domande.

La realtà dei fatti, comunque, è che Mary Sue è preoccupata perchè la sua fantastica vita di quiete e “all according to keikaku”, con tanto di hair flip drammatico per sottolineare la cosa, potrebbe essere messa in pericolo. Da chi, vi domandate?

Da niente meno che se stessa, per destino o per sfortuna, o per invidia di quelle divinità che non accettano di averla come rivale (ad ogni storia servono dei villain, quindi…). 

Mary Sue sa che il suo destino è uno di grandezza e prosperità, ed anche che le uniche possibilità che qualcosa vada “storto” risiedono nel fatto che lei stessa vada a minare la sua stessa felicità.

Anche Alan, così si chiama il caro membro numero uno del suo fanclub che non è un fanclub, che prima si è preoccupato tanto per lei, sembra essere convinto che la sua adorata possa risolvere qualsiasi situazione, quindi si affiderà a lei ed al suo imbattibile sesto senso femminile. Le è sempre stato vicino, fin dal primo momento in cui i suoi sentimenti sono sbocciati come margherite in primavera al semplice vederla. Il primo, insostituibile dei tanti…

[System] La narrazione deve proseguire.

… C’è stato un tempo in cui i messaggi del sistema non le davano così tante noie, specialmente quando sta riflettendo su come mantenere la sua felicità. Il sistema, anch’esso come altri, ha sempre favorito la sua ascesa alla gloria e venerazione da parte dei suoi manzi da collezione in passato. Quasi si potrebbe dire che è stato tutto merito suo, se è arrivata dov’è effettivamente arrivata - una guida, ecco, che l’ha portata a compiere le scelte giuste per prendere la via più semplice.

(non che ne avesse bisogno, in realtà. Lo sappiamo tutti che ogni Mary Sue che si rispetti avrà sempre la fortuna dalla sua parte, perchè anche negli “incidenti di percorso” che ha affrontato c’è stata alla fine un’occasione per guadagnarci qualcosa, un arricchimento personale… ed un nuovo membro del suo personalissimo harem)

Tuttavia ultimamente il sistema non sembra essere troppo portato alla guida come una volta, più al ricordarle di “continuare la narrazione”. Quasi quasi fosse più interessato a vedere dove voleva arrivare, no (alla trama), piuttosto che a tessere le sue lodi come è giusto che sia per una creatura adorabile come lei. 

Non è forse anche il sistema uno dei suoi fan?

[System] … La narrazione deve proseguire.

Oh beh. Poco male.

Alan ha già il titolo di “primo”, quindi le cambiava veramente un nonnulla nei suoi piani.

Probabilmente, tutto questo è ciò che le serve: nonostante la sua soddisfazione per quanto già ottenuto, qualcosa o qualcuno che rappresenti una sfida e la spinga a cercare di più, sempre più di quanto non abbia al momento, è tanto importante quanto la certezza di aver avuto un successo già più che perfetto. 

Ecco, sì: il vero messaggio del sistema deve essere proprio quello! Non accontentarsi, espandere i propri orizzonti verso altri lidi e ottenere ancora più felicità da essi. E bei maschioni, magari, perchè già che ci siamo…

“... Oh! Forse dovrei cercare qualcuno che si intenda di fisica e scienza e dimensioni, qualcuno che con le giuste risorse e la voglia di mettersi in gioco - qualcuno che magari è stato sottovalutato da sempre, ma che nasconde un’intelligenza sovrumana, e che ha solamente bisogno di una mano gentile che lo sproni!”

Ovviamente, quella mano sarebbe stata la sua. Sì, suona decisamente bene.

Mary Sue si rialzò dal comodo divanetto su cui era stravaccata, testa poggiata sul cuscino di piume d’oca morbidissimo, i capelli perfetti prima atti ad incorniciarle il viso d’angelo le ricadono liscissimi e senza nodi sulla schiena.

Tempo di andare alla ricerca del suo nuovo “bello”, conquistarlo e tirarlo nella sua schiera selezionata di belli e adoranti. Non deve farsi troppi pensieri, dopotutto: è lei la protagonista di questa storia e naturalmente il suo successo futuro sarà garantito.

Il suo grandissimo disegno continuerà ad espandersi ancora ed ancora, sempre più a lungo.

 
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Prompt: 010. Terre desolate

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Note:
 //




Dall'altura su cui si era manifestata, occhi scarlatti - l'unica caratteristica condivisa con le sue sorelle - osservavano con un misto di nostalgia e decisione e distacco al tempo stesso la piana di una landa lontana, un tempo terra abbracciata da una natura rigogliosa e rivoli d'acqua che scorrevano liberamente dai versanti delle montagne e che si riversavano in conche nel terreno. Ricordava il rumore dei mulinelli che si creavano tra le rocce, delle piccole cascate tra uno specchio d'acqua e l'altro.

La foresta aveva sempre qualcosa da dire, il silenzio un'assenza costante nell'area. 

Tuttavia, dopo che la Volta ed i suoi emissari avevano cominciato ad influenzare il destino di quel mondo, l'epilogo era divenuto una certezza. I risultati erano palesi, anche solo osservando l'ora spoglia landa priva dei colori e dei suoni della natura che un tempo la caratterizzavano.

Ove un tempo si stagliavano alberi secolari, che parevano voler toccare il cielo con le loro fronde, ora il nulla. Crepe nel terreno si diramavano in ogni dove, la terra un tempo soffice e gentile ora nulla più che una crudele ed arida distesa di terra non più sanabile, incapace di ospitare e nutrire nuova vita.

L'unico suono rimasto invariato di quella natura ben poco familiare, era quella del vento ormai: folate continue, a loro volta perfide nel continuare a sferzare il viso della donna, facevano da sottofondo a quella sua visita improvvisa. A volte, le sembrava quasi fosse quasi la voce di quel mondo che tentava di dirle qualcosa: un messaggio di rabbia per ciò che era andato ormai perduto, o una richiesta di aiuto?

Tante volte era capitato, in passato, che si trovasse in simili situazioni, in cui l'ultimo canto di una terra tenta strenuamente di farsi udire, di attirare l'attenzione di qualcosa o qualcuno che potesse salvarlo, o quantomeno rimandare l'inevitabile. 

Di qualunque cosa di trattasse, tuttavia, sarebbero state parole sprecate verso di lei.

A discapito di quello che i mortali potessero pensare, l'esistenza dei tre Soli e delle loro incarnazioni non era qualcosa di trascendente dalle leggi di vita e morte - tutt'altro, sinceramente, poichè in un qualche modo la loro magia incarnava quegli stessi concetti, così astratti ed al tempo stesso così attuali e reali. Certo, l'estensione della loro vita non poteva essere paragonata a quella di una comune creatura, ma nonostante questo la loro "mortalità" era cosa certa.

Se così non fosse stato, Reyes avrebbe ancora notizie delle sue adorate sorelle. Pur non potendole incontrare fisicamente, il legame che condividevano valeva più di mille e mille incontri: a quel tempo, lei stessa si sentiva in pace, completa nel suo ruolo e certa che qualsiasi cosa sarebbe accaduto, il ciclo sarebbe stato preservato.

Pur essendo incarnazioni del ciclo di origine, esistenza e fine, la Ruota del destino aveva reclamato la sua quota, senza troppi giri di parole o giustificazioni: prima di essere incarnazioni dei tre Soli, Reyes e le sue sorelle di anima potevano ancora essere definite "persone". 

Non erano immortali, né tanto meno onnipotenti - quella era una prerogativa degli Alti Dei - ed anzi, in un qualche modo traverso la donna non poteva che paragonare la sua esistenza a quella di quella stessa del mondo abbandonato. Lenta ad inaridirsi, inesorabile nell'esaurire il suo scopo.

Eppure anche lei cercava di rinnovarsi, di guardare oltre e raggiungere nuovi obiettivi - e di fuggire da ciò che, in cuor suo, sapeva essere a sua volta un destino invincibile.

Per il momento, tuttavia, poteva rinchiudere quel genere di pensieri nei meandri della sua mente. Avrebbe raggiunto le sue sorelle, un giorno.

Nel frattempo, pensava mentre riapriva il portale che l'avrebbe ricondotta verso la sua attuale 'casa', avrebbe soltanto dovuto provare a vivere riempiendo la sua vita per combattere l’erosione.

Un passo alla volta, diligentemente. 

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Prompt: Fede

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Note:
 La fede può assumere diverse forme.




Passo dopo passo, il neo-capitano sentiva sempre più il cuore battere all'impazzata, unico ma forse più sostenuto traditore della sua agitazione.

Hemeri Elyrand, primogenito della famiglia Elyrand del Giardino di Neve, aveva già compiuto giuramenti di fedeltà nella sua vita - verso la famiglia, verso la sua anima gemella, verso il suo credo - ma mai al cospetto del re, né di fronte alla Stella. 

Tale forse era la parte più terrificante: voci, pettegolezzi, i pochi graziato da tale evento narravano del Vincolo, un impulso magico che spingeva il soggetto che compiva il sacro giuramento a non andare mai e poi mai contro lo stesso. Non sarebbe importato se la sua famiglia fosse stata in pericolo, il Vincolo l'avrebbe spinto ad ignorare essa e qualsiasi altra cosa se ciò avesse garantito la salvezza dei favoriti dallo stesso.

Il Vincolo avrebbe cancellato tutto quanto. Il Vincolo avrebbe soggiogato la sua anima e la sua volontà.

Ciò davvero lo spaventava, fin nelle ossa, fin nel midollo. 

Però, dicevano tutti coloro che gli avevano fatto complimenti, un onore del genere non capitava tutti i giorni e sicuramente non in famiglie di cavalieri non nobili d'origine. Si trattava di un simbolo, un salto di status migliore di qualunque altro. 

Nonostante questo, il cavaliere aveva una paura maledetta di quel grande cambiamento nella sua vita. Un sospiro tremante lasciò le labbra del cavaliere, mentre ad occhi chiusi cercava di prendere respiri profondi per calmarsi. Inutilmente, ma giunto a tal punto non poteva più tirarsi indietro.

“Hemi?” 

Hemeri scattò sul posto, tornando ad aprire gli occhi e cercare con lo sguardo l’origine di quella voce. Subito, questo si posò su Miriam - paziente, amabile Miriam - all’ingresso della sua stanza, una mano ancora posata sullo stipite. Il sorriso che aveva in volto era al tempo stesso dolce e sofferto: anche lei era a conoscenza delle conseguenze del rituale, lui stesso le aveva spiegato, e nonostante tutte le emozioni contrastanti che aveva provato - e di cui gli aveva parlato, come sempre; non erano mai esistiti segreti tra loro, fino ad allora - aveva dato il suo totale supporto al marito.

A passo lento ma cadenzato, la donna raggiunse il cavaliere e posò le sue mani sulle spalle di lui, delicate quando un petalo di rosa.

“Hemi, andrà tutto bene. Te lo prometto.” gli disse poi, stringendolo a sé nell'ennesimo abbraccio di cui - ad onor del vero - Hemeri aveva estremo bisogno.

Miriam gli era sempre stata accanto. Sempre. Così come i voti matrimoniali dicevano, “uniti nei momenti di gioia, così come in quelli di difficoltà”, lei era stata la sua colonna portante sin da prima della loro unione ufficiale, una certezza nella sua via fin dalla tenera età.

Mentre portava le sue braccia attorno alla vita di lei per stringerla a sè, in cerca di conforto, Hemeri non poteva non ringraziare gli Dei per avergli fatto conoscere una creatura tanto importante. Indispensabile.

“Qualunque cosa accadrà,” iniziò a dire, la voce provata dall’emozione mentre alzava lo sguardo sul viso di lei. “Ricordati, sei l’unica ragione per cui la mattina io mi svegli, per cui ho deciso di servire il paese...” Poteva vedere le lacrime di commozione formarsi nuovamente in quegli occhi profondi, più blu del più prezioso degli zaffiri. “Sei tu la mia dea, Mir.”

E con la fede che aveva in lei, sarebbe riuscito ad affrontare anche quell’ennesima scelta impostagli da un destino incerto.

 

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