hannyakoma: (Default)
Prompt: The best prophet of the future is the past.

Word count: 2000
Rating: sfw
Fandom:
Dark Souls
Note:
 POV Original Character (Chosen Undead). Dopo innumerevoli viaggi, inizi e conclusioni, ancora la fine ci elude. Quindi cosa resta, se non una scelta alla fine?



Vi fu un tempo in cui la giovane, così come la sua famiglia, pregavano gli dei per avere una buona fortuna, una pace duratura, una vita felice. L'epoca d'oro del loro mondo, l'Era del Fuoco - Grainne sperava che un'età del genere potesse tornare nuovamente, ravvivarsi come la fiamma che ardeva nel cuore delle leggende, e portare ancora una volta lo splendore di cui le storie di suo nonno materno narravano con pompose parole.

Era affascinata, al punto in cui il suo cuore batteva con prepotenza al solo pensiero, dalla leggenda dei Cavalieri di Gwyn, più che dalle divinità in sè: per quanto comunque estranei alla sua realtà, sapeva che alcuni di loro erano indubbiamente esseri umani - non divinità, ma comuni esseri umani che avevano raggiunto gloria ed onore, combattendo fianco a fianco con le leggende stesse. Diventando loro stessi leggende che camminavano su quella terra ed ispiravano i posteri con le loro imprese, i loro successi.

Da bambina, quando il nonno la teneva sulle ginocchia e le narrava le storie più vecchie che rimembrava, Grainne ascoltava sempre con estrema attenzione. Solamente quando, anni più tardi, la dipartita dell'uomo la portò ad avere un vuoto dentro - causato non solo dalla mancanza di quella piccola tradizione che condividevano, ma soprattutto da una presenza che c'era stata per tutta la vita - la fanciulla si ritrovò tra le mani un tesoro incredibile.

Un antico tomo, segnato dal tempo ma ancora in condizioni tali da riuscire a leggerne i contenuti. Un volume di cui aveva solo sentito accennare, da suo nonno appunto, come la fonte di tutte quelle storie che Grainne era arrivata ad amare nel corso degli anni.

Non sapeva per quante mani era passato prima di giungere alla sua famiglia, ma una simile eredità era sopravvissuta a guerre ed intemperie e doveva per forza contenere quella che, alla fine di tutto, era una storia reale. Di guerra, di dèi immortali, di anime potenti e della costruzione del mondo in cui lei stessa ora camminava, respirava, viveva.

Di questo era vivamente convinta, ancor più quando durante la prima delle sue febbrili letture, non vide menzionata anche la nobile Via Bianca.

La sua famiglia era sempre stata vicina ad essa, specialmente negli ultimi decenni, quando la maledizione del segno oscuro sembrava espandersi sempre più anche nelle loro terre. Grainne non aveva mai messo in discussione il loro credo, o le loro indicazioni, perchè a sua volta indottrinata al pensiero comune. I Non-Morti rappresentavano una minaccia per le persone comuni, se lasciati a se stessi: la Via Bianca si occupava di essi, radunandoli e portandoli altrove, in un luogo dove mani più capaci avrebbero potuto garantire loro uno scopo più nobile del mero divenir "vuoti".

Tale era l'idea che i suoi genitori le avevano "venduto", probabilmente istruiti a loro volta da altri adepti del patto e sicuramente mischiata con pensieri e convinzioni di loro stessi.

Le parole di cui era composto il vecchio volume, però... Molte, se non tutte, di esse andavano in netto contrasto con quei nobili insegnamenti, quasi vi fosse un effettivo lato oscuro a tutte quelle parole cariche di ottime intenzioni e grandi speranze per il futuro del mondo. 

La giovane aveva ben presto imparato a tenere per sè i dubbi che avevano preso ad affollarle la mente. Ciò che desiderava, dopo tutto, era una vita tranquilla con la sua famiglia, di vivere con sicurezza ed onestà e di avere un giorno una persona con cui costruire qualcosa di soltanto loro.

*

Le notti apparivano particolarmente crudeli agli occhi di un non-morto in viaggio, specialmente uno che aveva dovuto accettare una missione che non si sentiva cucita su di sè - nè all'inizio, nè durante la stessa.

La luce della luna che si rifletteva ed illuminava le ormai vuote costruzioni, magnifiche un tempo così come in quel momento seppur sotto una diversa atmosfera, della capitale del regno: Anor Londo portava sempre uno splendore austero, non importava quanto il tempo passasse o quanti non morti arrivavano a percorrerne le strade. O i cornicioni.

Grainne preferiva dimenticare tutti gli scivoloni e le cadute, causate per lo più dai maledetti arcieri e le loro frecce una volta giunta nell'area della cattedrale: ripetitive ed imbarazzanti, una fonte di forte vergogna. Era un miracolo (hah! Pun not intended) che fosse sopravvissuta ben due volte fino a quel punto, oltre i due guardiani della nobile Gwynevere - o della sua illusione, se non altro: affrontare la Luna Oscura e reclamarne l'anima fu un compito più doloroso che arduo, una volta compreso come funzionassero i suoi incantesimi. In fondo, ciò che non vuole essere toccato sa di essere particolarmente fragile, di dover tenere le distanze da ogni qual cosa che possa recargli danno, dolore.

Le ultime parole del dio riecheggiavano nella sua mente, come un mantra più che una preghiera: "una maledizione eterna su di te", aveva detto. Una divinità immortale, non soggetta all'inevitabile erosione causata dal segno oscuro, che parlava di maledizione. Hah! Cosa ne sapeva, lui, delle maledizioni! Dopo averlo sconfitto, Grainne si era concessa una breve ma vuota risata, più sospiri spezzati che altro. Si era seduta scompostamente, lasciando che le ginocchia le cedessero come avevano minacciato di fare nel mezzo dello scontro, nel momento stesso in cui la tensione si poteva dire allentata (non spezzata, mai spezzata).

I suoi occhi - vuoti, seppur non il tipico vuoto della non morte - vagavano ancora una volta sulla linea della città, in un'ultima disperata speranza di imprimere nella sua mente anche quello scenario desolato prima di procedere. Forse, e diceva forse, quella volta sarebbe stata la definitiva.

Ed anche chissà, si domandava, quanti altri come lei erano arrivati a quel punto e si erano trovati a contemplare le loro scelte - stando alle sobrie parole del guerriero al primo falò di Lordran, non sarebbe stata nè la prima nè tantomeno l'ultima, lei, a lanciarsi in quell'impresa apparentemente senza capo né coda. Senza futuro.

In quel momento più che mai, Grainne comprese il perchè di tanta desolazione nei modi di fare di quell'uomo: doveva essere sopravvissuto tante e tante volte, aver incontrato una miriade di non morti provenienti dal Rifugio, tutti incantati dalle belle parole di qualsivoglia guerriero, o credente, o chi fosse ad averli indottrinati ed ammaliati ad approcciarsi a Lordran stessa.

Forse quell'uomo già aveva capito - già sapeva cosa sarebbe accaduto a lei, a se stesso, a tutto quel mondo in decadenza. Se "anche senza risposte devi comunque andare avanti", forse il guerriero che ormai s'era arreso, fermato, aveva trovato una sua risposta in fondo.

Cacciando in un angolo della sua mente le parole sconsolate che egli le rivolgeva ad ogni incontro, la non morta riprese il suo cammino, accompagnata soltanto dall'ululare distante del vento e dai versetti delle creature pronte a tentare di strapparle quel poco di vita che le restava.

*

Sentirsi ardere letteralmente da capo a piedi, avvolta da un calore inizialmente quasi familiare ma via via sempre più aggressivo, distruttivo, doloroso - l’umanità bruciava, pezzo per pezzo, insieme alla sua anima; ogni frammento raccolto, assorbito, con fatica che diveniva pura energia per la fiamma primordiale in meri istanti - fu l’esperienza più terribile della sua esistenza. Anche dopo i gargoyle, anche dopo la donna aracnoidea della Palude, anche dopo il cavaliere d’oro della cattedrale, quello fu il ricordo peggiore che si portò dietro nell’aldilà.

O meglio, quello che pensava fosse l’aldilà, all’inizio.

Invece di scomparire come si aspettava, Grainne si risvegliò nello stesso luogo di partenza di quell’avventura alla cieca: il Rifugio. Ancora non morta, ancora isolata dai suoi cari, ma per qualche ragione ancora in sè. Pura confusione, terrore, incredulità l’avevano soffocata nelle loro spire - le prime volte, almeno - finchè non si rese effettivamente conto che, per qualche disegno a lei ignoto, ad ogni conclusione del suo fatidico viaggio, ritornava indietro.

Inesorabilmente, costantemente. Quasi la maledizione, oltre ad impedirle di morire, volesse fare in modo di farle rivivere quell’inferno più volte, come se la prima non fosse sufficiente.

Con il passare del tempo, e di quelli che cominciò a definire “cicli di esistenza”, la donna si rese conto che la sua superficiale conoscenza rappresentava forse la causa di quella sua incapacità a sfuggire sia alla morte che alla non morte. Quindi si adoperò a cercare, scovare informazioni, raccogliere frammenti di leggende qua e là nel mondo - incontrando creature spaventose, disumane oltre ogni livello perfino stando agli standard demoniaci; viaggiando nel tempo e nello spazio, scoprendo pezzi di storia non tramandati dai culti del “presente”.

Artorias. Il mostro abissale. 

In svariate occasioni Grainne si trovò a chiedersi se davvero fossero i Lord ad essere stati nel giusto, o se forse anch’essi erano stati guidati da sentimenti più “umani” e mortali. E se così fosse stato, non era ciò qualcosa che li rendeva più vicini alle creature - umani, non morti, draghi - che tanto snobbavano dall’alto dei loro piedistalli?

*

Ancora una volta, la non morta “prescelta” si trovò di fronte alla sfida finale per eccellenza. 

“Deposita il Ricettacolo, donando le quattro anime dei Signori. Sconfiggi il Lord della cenere e prendi il suo posto nella fornace. Ravviva la fiamma, salva la nostra Era.”

Belle parole, rifilatele in più occasioni e da diverse persone, tutte accomunate da un’ignoranza di cui Grainne non poteva far loro reale colpa. Il tempo era tiranno tanto quanto le divinità, e coloro che ciecamente le seguivano, dopo tutto.

Dopo infinite morti, esplorazioni, ricerche, la donna era giunta ad una scontata quanto difficile soluzione. Se le risposte che cercava non stavano nè nel passato nè nel futuro, nè nel suo ciclo nè in un ciclo futuro, avrebbe tratto insegnamento dalle lezioni che gli antichi dèi le avevano indirettamente impartito. 

La scelta che avevano compiuto Lord Gwyn e Lady Izalith, per arroganza o per orgoglio o ancora per paura, di voler a tutti costi la sopravvivenza dell’Era del Fuoco… continuare lungo quella strada avrebbe davvero portato ad un futuro migliore, o semplicemente avrebbe prolungato l’inesorabile spegnimento della fiamma?

Ormai, Grainne non aveva più speranza da gettare in quell’ottimistica visione. 

Se gli errori commessi, ripetuti, dagli dèi stessi non avevano portato a risultati, allora perchè perseverare lungo un vicolo cieco?

Lo sguardo di chi aveva preso una decisione definitiva le guizzò negli occhi, mentre ritraeva lentamente la mano dalla fiamma e lasciava ciondolare il braccio lungo il proprio fianco. Fece un passo indietro, poi un altro, ed un altro ancora, finchè non si trovò a qualche metro dalla ragione di vita (e morte) di Gwyn stesso.

“Una maledizione eterna su di te”, le aveva sospirato Gwyndolin in punto di morte. 

“Qui, gli unici maledetti siete voi stupidi dèi”, mormorò lei di rimando, a nessuno in particolare, o forse al Lord della Cenere ormai divenuto polvere a sua volta.

Si voltò allora con decisione, camminando a passo lento ma inesorabile verso la porta della fornace, lasciandosi alle spalle lo scoppiettio di una fiamma ormai morente. Varcata la soglia, sguardi serpentini e il digrignare di denti le diedero il benvenuto.

"Mio signore, sia benedetto il tuo ritorno." 

Due file perfettamente allineate di creature serpentine fiancheggiavano il corridoio che l'avrebbe riportata in superficie, cantando le sue lodi e la gioia del poter servire nuovamente il loro reale padrone. Essere usata dalle divinità per i loro scopi, oppure dai serpenti primordiali per altri motivi - di scelta non si parlava più, ormai, poichè infine il suo destino era fondamentalmente il medesimo. Nel passato, così come nel presente, il suo percorso seguiva come solchi nel terreno tracciati da altri: lei stessa non era altro che un burattino in mano ad entità superiori che ne decidevano le sorti. Ogni resistenza, tentativo di fuga, o ostilità nel non voler accettare questa semplice realtà, erano futili. 

"Lasciate che la vera oscurità avvolga il mondo."

Se tanto doveva essere maledetta, in un modo o nell'altro Grainne decise di trascinare l’intera Lordran con sè. 

 

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Prompt: Come on now, you knew you were lost, but you carried on anyway

Word count: 620
Rating: sfw
Fandom:
Dark Souls I
Note:
SIEGMEYER OF CATARINA BESTEST OF MAN.



Lo scoppiettio del fuoco accompagnò il risveglio del Non morto Prescelto, obbligandola a destarsi dal suo breve riposo. Per qualche momento sembrò essere in una sorta di trance, ad occhi aperti ma senza focus, puntati sulle sue stesse gambe conserte. Un grugnito le vibrò in gola poco dopo, accompagnato da imprecazioni lanciate a mezza voce contro le antiche divinità.

“Su, su, amica mia! Se ti sentissero i tuoi compagni della Via Bianca...”

Iridi ancora velate di sonno andarono a posarsi sulla tondeggiante e protettiva armatura del cavaliere di Catarina a quel commento, stupite più di quanto forse avrebbero dovuto nel trovarlo ancora seduto accanto al falò. “Siegmeyer, credevo fossi ripartito mentre… Cosa fai ancora qui?”

“Un cavaliere di Catarina non abbandona mai un amico in un momento di debolezza!”

Debolezza, diceva? Oh, già… Aveva già cominciato a dimenticare le circostanze del loro ultimo incontro. La Città Infame e la Palude tenevano molto ad essere all’altezza dei loro nomi, e prova ne erano le tre morti (e mezza, considerando quanto la tossicità l’avesse portata ad un passo dall’ennesima dipartita) ivi vissute da Grainne e le miriadi di anime raccolte a fatica ed andate perdute sotto strati di sudiciume infetto e veleno. Se era sopravvissuta, quell’ultima volta, lo doveva solamente al valoroso e gentile cavaliere di Catarina.

“Sei rimasto per assicurarti che mi svegliassi?” domandò la fanciulla, stiracchiandosi la schiena dolorante e le braccia intorpidite.

“Ovviamente, amica mia. Dopo tutto l’aiuto che mi hai dato in passato, abbandonarti nel momento del bisogno sarebbe stato semplicemente vile. Una missione difficile, indubbiamente, ma questo cavaliere non si sarebbe tirato indietro comunque!”

La risata dell’uomo, bonaria e sincera, portò un sorriso sulle labbra della giovane. “Quando ci libereremo dalla maledizione, vorrei visitare Catarina.” buttò lì lei, poggiando il mento su una mano; il braccio puntato col gomito su un ginocchio. “Ti offrirò da bere per questa tua premura.”

“Oh! Un’offerta che non potrei rifiutare nemmeno volendo!”

Grainne non era più certa che vi fosse un modo per effettivamente salvare i non morti dalla loro maledizione. Aveva girato gran parte delle terre di Lordran con attenzione, salvo le maledette Catacombe e l’altrettanto maledetta Città Infame, ma fino a quel momento non aveva trovato indizi che confermassero la possibilità. Soltanto muri, nemici, morte e disperazione.

Eppure, anche senza risposte, doveva comunque andare avanti--un motto antico, forse quanto quelle stesse terre che calpestava, ma che più chiaramente esprimeva la sua esistenza.

Il destino dei non morti. 

Da quando aveva scoperto di essere una di loro, Grainne aveva sentito parlare solamente di quello dalla sua famiglia: i Jaltier erano sempre stati fedeli alla Via Bianca ed al loro credo, sin da prima che la maledizione della non morte si espandesse a macchia d’olio sulle loro terre. Sin dal principio suo padre Wilhelm, così come suo fratello maggiore Seamus, avevano appoggiato e sostenuto le cacce ai senza senno, o potenziali tali, nel loro paese, unendosi alle spedizioni con l’entusiasmo di dieci uomini ciascuno. 

Insieme a sua madre Annabel, Grainne rimaneva sempre a casa in attesa del loro ritorno, la più anziana nella totale certezza che il marito ed il figlio avrebbero portato gloria alla loro famiglia e la più giovane, al contrario, tormentata dall’ansia della spedizione, dai rischi, dal pericolo…

Di tante qualità positive che si potesse immaginare avere, Grainne non era il tipo avventuroso. Non desiderava che una vita serena con la sua famiglia, finchè un giorno non ne avesse costruita a sua volta una. Non voleva vivere avventure indimenticabili o affrontare e vincere nemici leggendari, nè che il suo nome venisse ricordato o associato a titoli pomposi che sarebbero solo andati persi nelle ceneri del tempo.

Il destino dei non morti. 

 

Non le rimaneva null’altro che quello, ormai.

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Prompt: Mitologia cristiana (Peccati capitali - Arroganza)

Word count: 676
Rating: sfw
Fandom: Dark Souls

Note: //


 

Pride was the cause of it all. It had been the origin, the continuation and the end of them, ever since the scorching flame called “soul” entered their chests. 

Great things they could do, with such power at hand. Conquer, defeat, create.

Gwyn had been the first of them and possibly the Greatest in accomplishments. He obtained so many titles, so many honors--the Lord of Sunlight, the Sun Himself, King of the Gods--that his reason became so fogged and obsessed with those, that he literally lost his grasp on reality. He lost everything he could really call his own--family, friends, companions--in favor of hollow ties and an hollow existence.

Most of all, his own fear and pride ended up clouding his senses. Unable to let go of the goals he reached and wanting to leave behind a legacy, in the form of his own accomplishments, he begun to destroy everything he came to build up with his own hands. He found himself alone, despite being father of many and leader of so many more. Every single thing he gave and shared with them, even his own soul--a sign of acceptance, the greatest honor, he repeated himself in an endless stream of delusions--, ended up meaning less than nothing in the end.

The only thing that kept his mind from going completely insane was the absolute belief that he did all for the greater good, because he just couldn't bear the thought of having made the wrong choice. He simply couldn't.

As he was the Greatest to rise, he was the Greatest to fall.

Following his glorious steps was the genius Witch and her Sisters of chaos. The Witch of Izalith, mistress of fire and magecraft. There was no one that could say to understand the concept of flames itself, nor no one who she would share her knowledge with--if not for jealousy, simply because such sheer level of power escaped understanding for the masses. The only one that might have been able to follow her explanations and theories was the Scaleless, but she was far from stupid enough to share her secrets with an envious traitor.

Instead, she focused on her own research, her own goals, and it was her own knowledge and the refusal of confrontation with others that lead to her destruction. Or better, her rebirth in a truly despicable form that nothing had to do with wisdom nor intelligence. Her arrogance forced her to writhe in agony, century after century--unable to die, unless Fate decided to send her a valiant warrior to end her suffering.

Sometimes she wondered how could have been if she and her beloved sisters never tried to recreate the first flame. There would have been no mutations, no birth of demons, no agony. And with Gwyn's fall, they could have been the Goddesses of the whole world.

Those ambitions, too, fed the flame that slowly devoured each part of her consciousness. 

Maybe it all began after they won against the Everlasting Dragons.

After the ages spent below the earth, with nothing to hope for other than a peaceful rest granted by the eternal darkness, the three Lords and their legions could proudly say that they won something worth fighting for. Something more akin to living, than just existing and waiting for their time to end. The idea of going back to the coldness and emptiness of the undergroundignited something stronger and fiercer than the first flame in them.

Of course, nothing could have been done against the Everlasting tribe, if not for the glorified traitor. Seath the Scaleless--he had been the core of it all. If he hadn’t revealed the dragons’ secret (their fatal weakness) the war could have lasted even more than it did. And the dead count might have been even higher than the days spent fighting.

Even so, when confronted with the facts, the Lords would proudly say that it was just their Fate. That they were destined to greatness.

May Velka forgive their sins, for they have brought forth the end of many after all.


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Prompt: Dimenticarsi di qualcosa/qualcuno
Word count: 1044
Rating: sfw
Fandom: Dark Souls III

Note: OC!centric perchè non so scrivere altrimenti rip.




Iridi dorate vagarono ancora una volta sul lugubre scenario di fronte alla sua figura, approfittando di un silenzio insolito per quel luogo di veleno e morte. Vi erano intervalli di quiete (che era solo una piacevole apparenza, o illusione, in realtà) tra un’ondata di Darkwraith e la chiamata a fare il suo dovere per il Patto, in cui Aresta poteva concedersi di lasciar vagare la mente.

Il Forte di Farron aveva da tempo immemore ormai perso il suo antico splendore.

La terra un tempo abitata e fiorente si era tristemente tramutata in uno specchio di decadenza, simbolo della sofferenza della non-morte e delle conseguenze che gli sconsiderati regnanti ed i loro collaboratori avevano portato in vita e successivamente lasciato dopo la loro dipartita o fuga. Era divenuto tutto un mero terreno di caccia per creature prive di senno, il cui unico scopo era divenuto uccidere chiunque si muovesse in quel luogo e che non portasse i segni della vuotezza.

Ricordava la prima volta in cui era passata per la Via dei Sacrifici, abbattendo non-morto dopo non-morto senza la pietà che un tempo l’avrebbe rallentata nel suo compito (troppi secoli e reincarnazioni erano state vissute per attaccarsi ad un simile sentimento, così facilmente dimenticato), diretta verso l’ultimo cancello che impediva all’Oscurità di vagare liberamente su quelle terre.

Ricordava quando aveva messo piede nell’area avvelenata, la Palude che aveva coperto lentamente ma inesorabilmente la zona inferiore di quella terra, mutando in maniera orribile le creature (umane e non) che ivi vivevano. Nessuno, neppure il più abile degli avventurieri, avrebbe avuto la minima speranza di sopravvivervi senza un buon numero di rimedi contro il veleno e le tossine di cui erano pregne le acque stagnanti.

Aresta stessa aveva perso migliaia di anime e di risorse in quel luogo, quel poco era certo. Non era il tipo da tener conto di quelle inezie, ma la frustrazione provata in quel periodo di certo favoriva il ricordo.

Tuttavia, infine, era giunta al suo obiettivo—il cuore di Farron ed il collegamento alle Catacombe dell'antica Carthus. Non aveva la certezza riguardo a quanto tempo fosse passato da quel giorno, poichè in fondo non esisteva un reale bisogno di ricordare quel dettaglio.

Poco ma sicuro, invece, restava il compito che aveva ritrovato, dopo chissà quanti cicli in cui la sua vera essenza (anima, la chiamerebbe qualche folle studioso) era stata presa e ribaltata, ricreata, forgiata per diventare il Qualcosa che era anche in quel momento.

Carne da macello, volta solamente ad essere un pupazzetto nelle mani di creature così magnificamente immortali.

L’incontro, se così avrebbe potuto chiamarlo, con il vecchio lupo nascosto tra le rovine di Farron, le aveva restituito la sua ragione d’essere oltre a memorie troppo a lungo seppellite dentro di sè. Un Patto di sangue—cosa insolita in un mondo in cui tutto girava e gira attorno all’anima, più che alla fisicità dell’io—aveva riaperto gli occhi, così a lungo rimasti offuscati dal tempo e dalle promesse di divinità di cui nessuno ricordava più nemmeno i nomi.

Ironico, ma meritato, si trovò a pensare ad un certo punto.

Il fiume di immagini, di un’epoca tanto gloriosa quanto dimenticata, che investì la sua mente senza pietà le causò un dolore inimmaginabile, spingendola in ginocchio e piegata su se stessa. Ciò che provò allora, mentalmente e fisicamente, non era paragonabile a nulla che aveva vissuto per arrivare lì: nemmeno il sentire le ossa frantumarsi sotto la pesante arma della Bestia della Valle Boreale, nemmeno la sensazione di essere consumata dall’interno dalle tossine o il caldo rovente delle piromanzie scagliatele contro vi si avvicinavano.

Il rumore metallico della spada, scivolatale dalle mani e caduta in un fastidioso ed acuti tintinnio contro la roccia fredda, potè solo accompagnare gli strozzati lamenti che sfuggirono dalla sua bocca. Anche in un momento come quello, l’istinto di sopravvivenza forgiato dalle lotte passate le impedì di urlare, per evitare che le creature sopravvissute alla sua esplorazione potessero coglierla di sorpresa in un momento in cui non avrebbe potuto difendersi nemmeno pregando.

Da quel momento, tutto era divenuto più chiaro, tanto che Aresta si sorprese di quanto cieca fosse stata fino ad allora. Aveva deciso di abbandonare quello che era stato detto essere il suo ruolo, abbracciando invece l’antica promessa scambiata con il suo amato Signore, padrone ed amico.

E, sempre da quel momento, la Fiamma Sopita che avrebbe dovuto riportare i Lord ai loro troni rifiutò di continuare quella missione affidatale senza alcun riguardo verso la sua volontà, ritornando ad essere il fedele guardiano che non avrebbe mai dovuto (e soprattutto voluto) smettere di essere—imbracciando nuove armi e nuovi equipaggiamenti (strappati senza esitazione dalle gelide mani di coloro che una volta camminavano come lei per quelle terre) ed il medaglione donatole dal Lupo, avrebbe protetto i suoi compagni e fratelli nel Sangue.

Fece in tempo a terminare di rinnovare la sua promessa—nella sua mente così come nella sua anima—che il familiare rumore di passi pesanti, metallici, accompagnati da un’aria di oscurità e morte, raggiunse i suoi sensi. Fu allora che la guerriera si rialzò da terra, puntando lo spadone a terra e facendosi forza sulle ginocchia, e dentro di sè avvertì la familiare sensazione che avvertiva prima di ogni battaglia. Che fosse la nuova Fiamma Sopita che avrebbe salvato—o condannato—il mondo dal destino di oscurità, o che si trattasse di uno degli spregevoli emissari dell’Abisso in cerca della legione, poco cambiava.

Non diede il tempo di prepararsi a difendersi o contrattaccare, lanciandosi in una carica con la sua fedele arma. Qualche metro di rincorsa, un salto ed un fendente—non le serviva altro per abbattere chiunque le si presentasse di fronte per varcare le soglie delle Catacombe, ove i suoi fratelli e possibili reincarnazioni del suo Signore combattevano ancora ed ancora, tra di loro, per adempiere al loro dovere.

Ormai, il rumore di ferro contro ferro, i mugugni di dolore delle sue vittime, l'odore del sangue non significavano più nulla. L'auto-eletta guardiana osservò il suo operato, prima di lanciare un urlo simile all'ululato di un lupo. Un avvertimento che molte delle creature della palude avevano imparato a temere.

Aresta non sarebbe mai diventata un monarca, un sacrificio, nè tanto meno un fantoccio nelle mani delle divinità. Avrebbe semplicemente fatto ciò che la sua anima urlava, come una fiera fedele e mortale.

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