gatekeeper [cowt | week 04 | M2]
Mar. 7th, 2019 07:13 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Prompt: Dimenticarsi di qualcosa/qualcuno
Word count: 1044
Rating: sfw
Fandom: Dark Souls III
Note: OC!centric perchè non so scrivere altrimenti rip.
Iridi dorate vagarono ancora una volta sul lugubre scenario di fronte alla sua figura, approfittando di un silenzio insolito per quel luogo di veleno e morte. Vi erano intervalli di quiete (che era solo una piacevole apparenza, o illusione, in realtà) tra un’ondata di Darkwraith e la chiamata a fare il suo dovere per il Patto, in cui Aresta poteva concedersi di lasciar vagare la mente.
Il Forte di Farron aveva da tempo immemore ormai perso il suo antico splendore.
La terra un tempo abitata e fiorente si era tristemente tramutata in uno specchio di decadenza, simbolo della sofferenza della non-morte e delle conseguenze che gli sconsiderati regnanti ed i loro collaboratori avevano portato in vita e successivamente lasciato dopo la loro dipartita o fuga. Era divenuto tutto un mero terreno di caccia per creature prive di senno, il cui unico scopo era divenuto uccidere chiunque si muovesse in quel luogo e che non portasse i segni della vuotezza.
Ricordava la prima volta in cui era passata per la Via dei Sacrifici, abbattendo non-morto dopo non-morto senza la pietà che un tempo l’avrebbe rallentata nel suo compito (troppi secoli e reincarnazioni erano state vissute per attaccarsi ad un simile sentimento, così facilmente dimenticato), diretta verso l’ultimo cancello che impediva all’Oscurità di vagare liberamente su quelle terre.
Ricordava quando aveva messo piede nell’area avvelenata, la Palude che aveva coperto lentamente ma inesorabilmente la zona inferiore di quella terra, mutando in maniera orribile le creature (umane e non) che ivi vivevano. Nessuno, neppure il più abile degli avventurieri, avrebbe avuto la minima speranza di sopravvivervi senza un buon numero di rimedi contro il veleno e le tossine di cui erano pregne le acque stagnanti.
Aresta stessa aveva perso migliaia di anime e di risorse in quel luogo, quel poco era certo. Non era il tipo da tener conto di quelle inezie, ma la frustrazione provata in quel periodo di certo favoriva il ricordo.
Tuttavia, infine, era giunta al suo obiettivo—il cuore di Farron ed il collegamento alle Catacombe dell'antica Carthus. Non aveva la certezza riguardo a quanto tempo fosse passato da quel giorno, poichè in fondo non esisteva un reale bisogno di ricordare quel dettaglio.
Poco ma sicuro, invece, restava il compito che aveva ritrovato, dopo chissà quanti cicli in cui la sua vera essenza (anima, la chiamerebbe qualche folle studioso) era stata presa e ribaltata, ricreata, forgiata per diventare il Qualcosa che era anche in quel momento.
Carne da macello, volta solamente ad essere un pupazzetto nelle mani di creature così magnificamente immortali.
L’incontro, se così avrebbe potuto chiamarlo, con il vecchio lupo nascosto tra le rovine di Farron, le aveva restituito la sua ragione d’essere oltre a memorie troppo a lungo seppellite dentro di sè. Un Patto di sangue—cosa insolita in un mondo in cui tutto girava e gira attorno all’anima, più che alla fisicità dell’io—aveva riaperto gli occhi, così a lungo rimasti offuscati dal tempo e dalle promesse di divinità di cui nessuno ricordava più nemmeno i nomi.
Ironico, ma meritato, si trovò a pensare ad un certo punto.
Il fiume di immagini, di un’epoca tanto gloriosa quanto dimenticata, che investì la sua mente senza pietà le causò un dolore inimmaginabile, spingendola in ginocchio e piegata su se stessa. Ciò che provò allora, mentalmente e fisicamente, non era paragonabile a nulla che aveva vissuto per arrivare lì: nemmeno il sentire le ossa frantumarsi sotto la pesante arma della Bestia della Valle Boreale, nemmeno la sensazione di essere consumata dall’interno dalle tossine o il caldo rovente delle piromanzie scagliatele contro vi si avvicinavano.
Il rumore metallico della spada, scivolatale dalle mani e caduta in un fastidioso ed acuti tintinnio contro la roccia fredda, potè solo accompagnare gli strozzati lamenti che sfuggirono dalla sua bocca. Anche in un momento come quello, l’istinto di sopravvivenza forgiato dalle lotte passate le impedì di urlare, per evitare che le creature sopravvissute alla sua esplorazione potessero coglierla di sorpresa in un momento in cui non avrebbe potuto difendersi nemmeno pregando.
Da quel momento, tutto era divenuto più chiaro, tanto che Aresta si sorprese di quanto cieca fosse stata fino ad allora. Aveva deciso di abbandonare quello che era stato detto essere il suo ruolo, abbracciando invece l’antica promessa scambiata con il suo amato Signore, padrone ed amico.
E, sempre da quel momento, la Fiamma Sopita che avrebbe dovuto riportare i Lord ai loro troni rifiutò di continuare quella missione affidatale senza alcun riguardo verso la sua volontà, ritornando ad essere il fedele guardiano che non avrebbe mai dovuto (e soprattutto voluto) smettere di essere—imbracciando nuove armi e nuovi equipaggiamenti (strappati senza esitazione dalle gelide mani di coloro che una volta camminavano come lei per quelle terre) ed il medaglione donatole dal Lupo, avrebbe protetto i suoi compagni e fratelli nel Sangue.
Fece in tempo a terminare di rinnovare la sua promessa—nella sua mente così come nella sua anima—che il familiare rumore di passi pesanti, metallici, accompagnati da un’aria di oscurità e morte, raggiunse i suoi sensi. Fu allora che la guerriera si rialzò da terra, puntando lo spadone a terra e facendosi forza sulle ginocchia, e dentro di sè avvertì la familiare sensazione che avvertiva prima di ogni battaglia. Che fosse la nuova Fiamma Sopita che avrebbe salvato—o condannato—il mondo dal destino di oscurità, o che si trattasse di uno degli spregevoli emissari dell’Abisso in cerca della legione, poco cambiava.
Non diede il tempo di prepararsi a difendersi o contrattaccare, lanciandosi in una carica con la sua fedele arma. Qualche metro di rincorsa, un salto ed un fendente—non le serviva altro per abbattere chiunque le si presentasse di fronte per varcare le soglie delle Catacombe, ove i suoi fratelli e possibili reincarnazioni del suo Signore combattevano ancora ed ancora, tra di loro, per adempiere al loro dovere.
Ormai, il rumore di ferro contro ferro, i mugugni di dolore delle sue vittime, l'odore del sangue non significavano più nulla. L'auto-eletta guardiana osservò il suo operato, prima di lanciare un urlo simile all'ululato di un lupo. Un avvertimento che molte delle creature della palude avevano imparato a temere.
Aresta non sarebbe mai diventata un monarca, un sacrificio, nè tanto meno un fantoccio nelle mani delle divinità. Avrebbe semplicemente fatto ciò che la sua anima urlava, come una fiera fedele e mortale.