Mar. 22nd, 2022

hannyakoma: (Default)
Prompt: Sereno

Word count: 540
Rating: sfw
Fandom:
Originale
Note:
 //




Erano giornate come quella, con il cielo privo di nubi ed una piacevole brezza che soffiava tra le fronde degli alberi, che la vita si poteva veramente definire "piacevole". Poche cose finivano con il turbare l'esistenza di Yuriho in momenti come quelli, ed in genere ciò comportava l'apparizione di uno spirito maligno, maledizione o demone che richiedeva la sua immediata attenzione. 

Al di là di quello, era raro che si scomodasse dalle sue "giornate di riposo" per fare qualcosa che non fosse un rilassante oziare, riposare e riprendersi dalla stanchezza accumulata nei giorni passati e prepararsi a riprendere la caccia direttamente il giorno dopo. Quello restava però un pensiero per la se stessa di domani.

Il porticato che dava sul cortile interno della tenuta aveva il pregio indiscusso di essere baciato dal sole per una buona parte della giornata, il che lo rendeva un luogo ideale per chi desiderava passare un po' di tempo in tranquillità ed in compagnia dei suoni della natura - l'acqua del laghetto delle carpe, la cui superficie veniva increspata dai salti di queste ultime; il ritmico ticchettio di un picchio su uno degli alberi più vicini (a cui avrebbe dovuto effettivamente lasciare un po' di mangime, dato che l'aveva fatto recuperare giusto ieri da suo fratello per lui e per le altre bestiole che vivevano tra le fresche fronde).

Mancavano solamente dei dango ed una buona tazza di tè verde per completare il tutto, a detta sua.

E per assurda coincidenza del destino, poco dopo che il pensiero si fu materializzato nella sua mente, il cadenzato rumore di passi a lei familiari si fece sentire dal corridoio interno che portava a dove stava lei. Percepì le lievissime vibrazioni sul legno prima ancora di vedere la figura di suo fratello apparire da dietro l'angolo.

"Ah, eccoti!" comincia lui, con l'entusiasmo di un bambino effettivamente troppo cresciuto. "Ho provato a chiedere a Yuki, ma non ti aveva visto qui."

Lo so, avrebbe voluto rispondere lei, perchè non mi sono fatta vedere. Gli dedicò invece un sorriso, piccolo ma realmente sentito.

Senza farsi il minimo scrupolo, Satoru si sedette accanto a lei sul porticato, porgendole un sacchettino che riportava la marca di un famoso negozio di dolcetti prima ed una lattina di tè fresco subito dopo. A volte Yuriho si domandava se, per qualche strana combinazione astrale, non condividesse più con il fratello di quanto fossero i semplici geni, il colore di occhi e capelli e bene o male la stessa linea di lavoro.

Che esistesse un collegamento anche mentale, forse? Oppure, più semplicemente, sapendo che Satoru sarebbe tornato a breve dal suo ultimo incarico, si era aspettata che rientrasse con un pensierino. Un po' come faceva sempre.

A prescindere da tutto ciò, comunque, Yuriho si prese il suo tempo per aprire il sacchettino ed esaminarne i contenuti: dango, dorayaki ed infine taiyaki.

"Ti devi far perdonare di qualcosa, Satoru?" gli domandò, voce piatta ed incapace di trasmettere il divertimento di quello che era sarcasmo.

L'espressione offesa - fintamente - dell'altro la fece quasi ridere.

Quei momenti semplici, di tranquillità, erano qualcosa di cui aveva tremendamente sentito la mancanza. Sebbene si trattasse solo dello scemo di suo fratello che faceva, appunto, lo scemo.

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Prompt: Pioggia

Word count: 630
Rating: sfw
Fandom:
Originale
Note:
 //




La pioggia, a Gealach, aveva sempre accompagnato i cittadini nelle loro giornate. Lo scrosciare costante dell'acqua, i rivoletti che si creavano sui tetti e lungo i viottoli deserti, le goccioline di condensa che si formavano sulle vetrate degli alti edifici, costruiti per una città sviluppata tremendamente in verticale - il quadro che tali immagini formavano suscitava un non so che di meraviglioso, ma anche malinconico negli occhi di chi osservava, fosse esso un locale o uno straniero. 

Gli abitanti, ormai abituati all'ambiente, non parevano fare caso all'apparentemente costante cadere dell'acqua dal cielo (o quello che pareva essere un cielo, ma che era in realtà una volta perennemente coperta da un velo simil crepuscolo da cui venivano generate gocce di vita), accettando con estrema tranquillità il fatto che la loro città fosse immersa in luci artificialmente magiche e lanterne sparpagliate sotto portici, lampioni a lati di negozi ed abitazioni in egual modo, o dai focolari riflessi nei vetri delle finestre.

Gealach non aveva mai attirato l'attenzione di Shadow, perchè la rinomata Città dei Cristalli sotterranea aveva tutto meno che l'aria di un luogo ove trovare un'anima pura: voci, credenze, parlavano di un luogo triste e semi-abbandonato, in cui i pochi che ancora vi restavano ad abitare erano silenziose esistenze che camminavano così in balia degli acquazzoni, come sotto una lieve e piacevole pioviggine, con i loro cappelli-ombrelli che proteggevano almeno il capo e le spalle dall'acqua scrosciante. Non che la cosa sembrasse disturbare alcuno di loro: le voci parlavano di creature vuote, che non si curavano di ciò che le circondava ed anzi proseguivano quel gener edi vita con un'inerzia a malapena sufficiente.

Una manciata di fantasmi, quasi.

Shadow lasciò correre lo sguardo vacuo sulle linee della città, dalle pareti verticali, lungo i cornicioni dei tetti ed infine le guglie delle alte torri che andavano a sfiorare il soffitto dell'immensa grotta in cui si sviluppava la città. Il cavaliere solitario, Hakim, l'aveva indicata come prossima destinazione, tenendo la sua "missione" in considerazione.

Shadow ne aveva parlato con pochi altri - la nobile lady, Deive, residente nel cuore di Teare Blath, e l'anziano Liath della vecchia città di Lanach - ma solamente lui aveva fornito, tra la miriade di parole lanciate in sfida e con arroganza, un'indicazione attualmente utile - o così affermava, certo.

Il pensiero dell'uomo entrò ed uscì dalla sua mente con rapidità, riempiendo per un breve momento l'oscurità in cui riecheggiava una semplice voce, un ordine: Cerca l'anima più pura. 

Una missione che suonava vuota alle orecchie, così come vuota era nella sua anima: poco e nulla ricordava, Shadow, tranne quelle parole che muovevano i suoi passi giorno dopo giorno. Non aveva importanza che si trattasse di dover attraversare corridoi verdeggianti, in cui si era sviluppata una vegetazione quasi senziente in grado - e con tutta intenzione - di divorare i disattenti viaggiatori che vi si addentravano; e nemmeno l'idea di mettere piede nelle terre dimenticate, appena al di fuori di Naohm, ove si diceva abitassero creature mostruose e pronte a far delle loro sfortunate prede un facile spuntino.

Nulla di tutto quello importava, nè tanto meno il gelo che le fredde gocce di pioggia portavano sulla pelle già pallida di Shadow. Forse avrebbe dovuto accettare l'offerta del giovinetto alle porte della grotta-città, di prendere a noleggio un copricapo per evitare di inzupparsi da capo a piedi. Per una questione di efficienza più che di comodità o bisogno: un po' di pioggia, onestamente, era l'ultima delle cose per cui avrebbe potuto provar preoccupazione.

Un pensiero sfuggente, come la goccia che scivolava via dalle ciocche pregne per schiantarsi al suolo. Un singolo suono perso nella miriade di centinaia, migliaia di altri suoi simili.

La sua avanzata riprese.


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Prompt: Neve

Word count: 730
Rating: sfw
Fandom:
Black Clover
Note:
 OC Centric.




As used as she was to the viridiscent splendor of the Witches' Forest, her arrival in Spade Kingdom felt rather traumatic. 

Her skin almost became frostbitten during the mere way to the royal castle - of course, her captors didn't worry about her wearing clothes very unsuited for the harsh climate. They simply wanted to get back to their base as soon as possible, with whatever "loot" they managed to get when they invaded Clover's borders.

Her feet sunk in the fresh snow, leaving small foot prints that joined the moltitude of others that the Spade soldiers left earlier. With the strength of the snowstorm still raging around them, it was a miracle any trace of their passage were still there. 

Angelica did her best to keep herself from shivering - she didn't show weakness before her very mother, always striving to be the perfect daughter, and she surely wouldn't metaphorically bow to someone stepping so low and kidnapping children, together with her and other women - with her magic, tampering with her blood flow and mana enough to avoid the worst of it. She felt threatened, to some extent, but not as much as to the point she wouldn't try to escape from her captors as soon as the occasion arised.

She probably jinxed herself by thinking that.

It was pure bad luck that the soldiers and newly found prisoners crossed roads with one of the probably strongest mages in the Kingdom - and probably one of the strongest Angelica ever met in her life, besides her mother - right in front of the castle's gates. 

A young woman wearing a tiara, hugged by a soft fur coat with a white collar and what the Clover witch thought to be the uniform from Spade's army. Her grin had something akin to maniacal, together with the clearly insane glint in her only visible eye - and from the dark mana coming from unside the other eye's eyepatch, Angelica didn't want to have anything to do with her. 

Instinctively, she lowered her gaze before the... princess? Whatever she was, could meet her eyes.

She kept listening to the exchange between "lady Vanica", as the soldier in lead said, and the enemy mage, trying to get as much information as possible. He talked to her about the good results of the hunt, listing off how many people with supposedly high levels of mana they managed to get that time, and how honored they were to be in her presence right after they came back. 

Not that Angelica thought they'd worry about their captives risking hypothermia, but that obvious stalling was starting to grate on her nerves - not for herself, but... there were children in their ranks, goddamnit! If they had to go and kidnap them for whatever reasons, wasn't it better that they took care of them at least?!

Not one instant later, a soft crunch on the snow was the only warning Angelica got, before her face was forcefully brought up. Her crimson orbs met a single, blood-red one and a contemplative dark smile.

"So you're the Blood Magic user? You're sooo cute, sweetie!" Lady Vanica's voice was full honey, edging towards a danger Angelica didn't want to get close to. The hand that brought her chin up went to her hair, brushing off the snow that started to accumulate there a few times, before it joined its twin on the witch's face. "The soldiers said you've got so much mana in you, but... you know, I think it wouldn't be funny if a strong mage didn't try to get stronger, am I right?!"

Angelica, for the first time in ages, recognized her own whole body trembling before someone - something - else. The woman before her was asking her to become stronger? Why? She didn't have time to question it as much, since the princess suddenly stepped back from her and then away from the group, vanishing again inside the Castle without saying much more.

The soldiers led them, once again, through snow-covered paths towards what Angelica thought to be the underground prisons, typical of every castle. For quite obvious reasons, snow and low temperatures weren't her main concern anymore: catching the attention of someone like that... she really hoped it was an unlucky one time thing.

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Prompt: Oscurità

Word count: 910
Rating: sfw
Fandom:
Black Clover
Note:
 Return to (Darnkess) Monke.




Il covo dei Toro Nero era sempre stato un luogo pieno di mistero, specialmente per i suoi occupanti. 

A volte, la base stessa tendeva a cambiare la sua forma, a spostare le stanze che ognuno occupava o anche solo a riassemblarsi dopo le abituali operazioni di distruzione che i membri della brigata causavano ogni giorno sin dal primo (ma sempre un po' di più, considerando l'arrivo di elementi come Magna e Luck, che erano prettamente incapaci di comunicare in maniera normale e risolvevano il problema, quindi, menando le mani - ed i loro grimori). Dopo le prime volte che ciò era accaduto, comunque, il gruppo (meno Yami, che sapeva la verità dietro quel mistero, e Nacht, che aveva un minimo di quoziente intellettivo per comprendere che si trattasse di una qualche forma di magia) aveva passivamente accettato la cosa come un risultato "naturale" delle loro azioni, una conseguenza del tutto da aspettare nel presente come in futuro.

Detto questo, già da qualche settimana quella parte, erano arrivate... strane voci alle orecchie di Yami.

La prima, onestamente, era arrivata da Vanessa ed il capitano aveva trovato la cosa sospetta: la strega, dopo tutto, aveva assunto la brutta abitudine di bere più di quanto il limite umano potesse sopportare e di inventarsi strane dicerie per i novellini che si univano alla squadra. Aveva capito poco, per le stesse ragioni, ma ciò che era arrivato come messaggio era l'assurdità di piatti da banda che suonano ad orari improponibili della notte.

La seconda, qualche tempo dopo, fu da Charmy che pianse ("pianse", cioè, si lamentò parecchio con quella strana espressione a metà tra il pianto ed il vendicativo) perché qualcosa, o qualcuno, aveva fatto invasione nella sua preziosissima cucina per sottrarre degli ingredienti. Yami, ancora una volta, pensava che si trattasse di una cantonata - perchè non era la prima volta che la maga finiva per avere attacchi di fame notturni, che terminavano con lei che si addormentava con la dispensa decimata e ricordi nulli dell'accaduto.

Dalla terza in poi (Magna che parlava di scimmie saltellanti, rapide come fulmini, e Gauche che aveva cominciato a "prendere provvedimenti" per proteggere le sue fotografie di Marie), il capitano aveva cominciato a sospettare che la sua brigata si fosse organizzata per fargli un enorme scherzo. L'alternativa era l'inquietante possibilità che ci fosse qualche strana entità a piede libero nelle mura della loro base operativa.

Per questa ragione, e per esasperazione da parte dei suoi idioti, Yami in persona aveva preso a controllare occasionalmente i corridoi, spesso e volentieri quando tutti erano già andati a dormire: alcune aree della base, quelle che restavano lontane dalle finestre ogni volta che Henry riarrangiava la base, restavano immerse nell'oscurità della notte. Corridoi, stanze inutilizzate (ancora inutilizzate), vicoli ciechi - Yami li controllò tutti, uno alla volta, per poter dire al resto della brigata quanto fossero dei marmocchi ancora per farsi prendere dall'immaginazione, soprattutto alla loro età registrata.

Aveva acceso la decima sigaretta della ronda da qualche secondo, quando all'improvviso uno strano rumore - passettini, tlack-tlack, accompagnati da un quasi meccanico ma ritmico sbattere di ferro contro ferro - cominciò a riecheggiare per l'area ancora disabitata. 

Un senso di inquietudine gli piovve addosso per un istante, anche se si trovava letteralmente nel suo elemento: aveva fatto di peggio, negli anni della sua gioventù, insieme al suo migliore amico ed aveva imparato che ombre ed oscurità erano sue alleate fidate più che degli infami avversari. Il ki di qualunque cosa si stesse avvicinando non pareva aggressiva o ostile, pure, ma una mano andò comunque a sfiorare l'elsa della katana: se fosse stato un essere o costrutto in grado di aggirare la sua percezione, così come aveva evitato di essere accuratamente visto dagli altri del Toro Nero... forse esercitare cauzione non avrebbe fatto male.

Tutta la tensione, che nemmeno s'era accorto di aver accumulato fino al momento, gli scese nel momento in cui il rumore arrivò praticamente ai suoi piedi e qualcosa gli toccò la punta dello stivale destro. In qualche modo abituato all'assenza quasi totale di luce, Yami riconobbe l'oggetto che tanto aveva disturbato la pace: un giocattolino per bambini, a forma di scimmietta, con due piatti che avrebbero fatto un casino infernale se non fosse stato per il frammento di stoffa bloccato tra essi.

Il capitano recuperò con sospetto l'oggettino dannato, estrasse il suddetto frammento di stoffa - pentendosene un istante dopo, perchè il maledetto cominciò a fare un rumore terribile, che riecheggiò nei corridoi vuoti. Nella distanza, sentì l'urlo di quello che immaginava essere Magna. 

La scimmia volò istantaneamente contro una parete, disintegrandosi a causa della forza con cui venne scagliata.

Tornato, spazientito, in un punto lievemente più illuminato per riuscire a capire cosa fosse quella stoffa, diede le spalle al corridoio ove aveva lasciato i resti del giocattolo demoniaco e disfò il bandolo che aveva ottenuto: un messaggio, a quanto pareva, da-

Yami si domandò, a volte, se fosse davvero lui il più infantile tra i due. Un dubbio lecito, considerando come Nacht avesse pianificato ed eseguito la sua vendetta in maniera esemplare, solo per quella volta in cui l'aveva chiamato "braccia smilze che nemmeno riuscirebbero a cacciare una scimmia", con così tanta pazienza che Yami stesso aveva scordato l'intera faccenda.

La scrittura del suo migliore amico, nero su ocra, leggeva un "piaciuta la caccia? :)" che riuscì a fargli salire l'irritazione alle stelle.

Gliel'avrebbe fatta pagare eccome.

hannyakoma: (Default)
Prompt: Acqua

Word count: 930
Rating: sfw
Fandom:
Originale
Note:
 TW: tematiche delicate (suicidio).




C'erano una volta, Michi e Uta.

In un villaggio di pescatori, due bambini nascono quasi nello stesso periodo, a distanza di pochi giorni, da famiglie bene o male amiche tra loro. Qualcuno potrebbe pensare che fosse destino, ma vivendo praticamente insieme c'erano poche speranze che non giocassero o quantomeno crescessero l'uno in compagnia dell'altro. Diventano amici di infanzia, quindi, quasi inseparabili nel tempo libero così come nei momenti in cui i genitori cercano di insegnar loro il mestiere della famiglia: essendo lo stesso, non costa veramente nulla ad uno o all'altro padre tirar su uno o due frugoletti da portare sulla barca, almeno per prendere confidenza con l'ondeggiare costante che avrebbe fatto loro da costante compagnia.

La loro infanzia procede, bene o male, senza intoppi sotto quel punto di vista. Qualche piccolo screzio, un litigio qua e là sempre risolto scusandosi a turno, e la vita proseguiva senza intoppi.

Il loro rapporto inizia a cambiare dopo che il padre di Uta viene a mancare durante una sessione di pesca in alto mare in cui Michi e suo padre hanno partecipato. E' un incidente tragico, causato principalmente da una rete mal piazzata ed uno scoglio che sembrava più lontano di quanto non fosse. E' stato Michi ad occuparsi della rete, quel giorno, e la cosa lo uccide dentro sempre di più ogni giorno che passa.

Uta non gli rivolge la parola per giorni, settimane, mesi. Da un certo giorno, smette persino di farsi vedere in giro per il villaggio - di punto in bianco, da sera a mattina - ed i pescatori più anziani gli dicono che manca all'appello una barca dal porticciolo. Michi pensa, molto egoisticamente, che Uta l'abbia abbandonato.

Passano i mesi, forse anche un paio di anni, e all'alba di quello che crede essere il suo quindicesimo anno, Michi pensa di aver superato la parte peggiore della sua giovane vita. Elaborata, perlomeno, superata nella sua mente. C'è ancora chi lo guarda con un sentimento a metà tra la pietà ed il risentimento, ma sono pochi quelli che gli parlano direttamente della cosa - esistono, comunque, quelli che spargono malelingue e superstizioni, come quella arrivatagli alle orecchie settimane addietro: fuochi fatui, apparizioni spettrali a filo dell'acqua poco più in là della riva, ancora increspata dalle piccole onde che si abbattono sul bagnasciuga. Qualcuno dice che sia il fantasma di Yukio, il padre di Uta, o di Uta stesso, tornato per avere la sua vendetta.

Michi, pur nel senso di colpa, non ha mai creduto alle maledizioni o al sovrannaturale - non più di un discreto ed accettabile margine di superstizione - ma al sentir nominare quei due nomi subito gela. Quella notte non riesce a chiudere occhio, nè quella dopo, nè quella dopo ancora.

Quando finalmente crolla, viene accolto da un sonno tormentato.

Nel sogno che gli si apre davanti agli occhi, perchè di quello non può che trattarsi, vede se stesso in piedi sulla barca - un ricordo, dovrebbe essere, ma da un punto di vista che non comprende - ed aggrappato a quello che riconosce essere suo padre per avere stabilità. Non sente rumori oltre quello delle onde che gli schizzano d'acqua il viso, sebbene veda le bocche muoversi come per parlare. 

La scena cambia di improvviso, poi, alla notte maledetta in cui ha indirettamente causato la morte di Yukio: questa volta, non vede altro che scale di nero e grigio, e di nuovo nessuna parola spiccicata dalla bocca dell'uomo. Quello che sente, però, è lo "splash" di quando lui cade in acqua, insieme ad un sonoro "crack" che gli stringe lo stomaco e gli causa al tempo stesso una sensazione di nausea.

Ancora, appena sbatte le palpebre, un altro scenario lo attende. E' notte, e non si riconosce ancora una volta: sa di essere in piedi e che di fronte a sè c'è solamente una distesa d'acqua increspata dal vento a largo della terraferma. La luce della luna si riflette, come su uno specchio distorto, in un gioco di luci e ombre che gli permettono di avere un'idea di dove si trovi.

Poi, d'improvviso, il mondo si ribalta: vede la barca da sotto, adesso, e l'unica fonte di luce attraverso un velo tremolante, sempre più distante. Bolle d'aria risalgono dalla sua bocca verso la superficie, quasi si stessero rincorrendo per fare a chi arriva prima, finchè di aria non ce n'è più.

La visione diventa sempre più appannata, sente bruciare il petto nonostante si trovi ormai sommerso, pesante.

Quando chiude gli occhi, sente il terrore di una fine che tutti dimenticheranno.

.

.

.

Al risveglio, Michi si sente gli occhi bruciare, le guance umide e la gola che brucia, irritata. 

Gli ci vuole un attimo per ritrovarsi, non sa ancora come, sul bagnasciuga distante qualche centinaio di metri dal solito porticciolo del villaggio. Non è certo di come ci sia arrivato, così come non è certo di cosa diavolo sia successo in primissimo luogo. 

Si sente come se avesse pianto, forse. Urlato, anche, sebbene le sensazioni parevano lontane nel tempo - l'ultima volta che è accaduto, se non erra, fu la mattina in cui lui e suo padre tornarono dalla pesca senza Yukio. La notte dell'incidente.

Il ricordo gli causò una serie di spasmi allo stomaco, obbligandolo a rigurgitare sul posto i contenuti di quest'ultimo. Sentì nuove lacrime pizzicargli gli occhi, insieme alla necessità di sciacquarsi la bocca più volte. Per un attimo, però, il pensiero lo inorridì: anche da sveglio, Michi sentiva ancora l'acqua scivolargli giù per la gola, violenta e inesorabile.

Forse non si sarebbe dovuto svegliare.

hannyakoma: (Default)
Prompt: Ghiaccio

Word count: 540
Rating: sfw
Fandom:

Note:
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Per tutta la sua vita, o per quanto la sua mente ricordasse della sua infanzia, Todoroki aveva sempre odiato il fuoco.

Un po' perchè gli ricordava suo padre, che non gli permetteva di giocare e divertirsi come i suoi fratelli e sorella perchè "non c'era tempo, doveva allenarsi" e "se hai tempo per pensare a queste cose, puoi dedicarti a studiare". Forse più di solo "un po'", alla fine, perchè Todoroki Enji pareva essere l'incarnazione del fuoco stesso - sia per quanto ardente fosse il suo desiderio di diventare il numero uno, sia per quanto disposto fosse a far terra bruciata di ciò che lo circondava, risparmiando solo e soltanto quello che gli faceva comodo tenere.

Un po' perchè quello stesso elemento non lo sentiva suo, in fondo: aveva sempre preferito la fresca sensazione del tè in estate, quello che preparava sua madre prima che tutto andasse storto, o il sapore più delicato della soba fredda - che non a caso era diventato il suo piatto preferito, una volta cresciuto. Il freddo, il ghiaccio in qualche modo faceva più parte di sè, che se ne potesse dire di lui: un perfetto ibrido tra i quirk dei suoi genitori, si era sentito dire, come se fosse un reale complimento per lui essere definito come il risultato di un 1+1, piuttosto che un'entità a se stante.

Dopo l'incidente di sua madre, e il rapporto in caduta libera che ebbe con suo padre, Todoroki scelse ancora di più la sua metà più fredda e lo fece principalmente per vendetta nei confronti di un genitore che aveva privato non solo lui, ma anche i suoi fratelli dell'unica persona che pareva curarsi veramente di loro. Una vendetta inutile, a quanto sembrava, però perchè l'eterno numero due la considerava più un capriccio bambinesco che prima o poi sarebbe dovuto finire, con le buone o con le cattive.

Shouto la prese così sportivamente, quando udì quelle parole (o non proprio quelle, ma il significato restava intrinseco in esse), che la notizia dell'iceberg generato in pieno primo round al Festival Sportivo ancora restava, dopo mesi, uno scherzo ai danni del povero Sero, al tempo suo avversario. 

Non ci aveva potuto fare nulla, in quell'occasione: la rabbia - unico fervore che provava, finchè un certo ammasso di capelli verdi e lentiggini non gli spiattellò in faccia una verità tanto semplice e palese quanto stupidamente dolorosa da accettare - l'aveva spinto più in alto di quanto avesse voluto, facendogli perdere la gelida calma per cui era tanto rinomato per un secondo. Non il controllo, quello mai, altrimenti a quest'ora lo scandalo del figlio "perfetto" di un famoso eroe che causava un incidente del genere allo stadio sarebbe stato ancora sulle bocche dei giornalisti-avvoltoi in cerca della qualunque per affossare una figura pubblica. Però c'era andato vicino, sì.

Pensandoci, avrebbe potuto dire che fosse stata la prima volta in cui il fedele ghiaccio l'aveva "tradito" - sebbene non potesse veramente dirgliene contro in una tale situazione di stress emotivo, non elaborato soprattutto. Era destino che prima o poi arrivasse quel momento di rottura, e probabilmente era stato meglio un iceberg gigante piuttosto che un inferno di fiamme contro il compagno di classe, dopo tutto.

 

hannyakoma: (Default)
Prompt: Cascata

Word count: 590
Rating: sfw
Fandom:
Magi
Note:
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Quando Masrur l'aveva avvicinato dopo una riunione, con la solita espressione impenetrabile ed apparentemente illeggibile, e gli aveva chiesto quali fossero i suoi piani da lì a tre giorni, Sharrkan si era un attimo congelato sul posto. Il Fanalis non aveva mai, sottolineando il mai, chiesto una cosa del genere a nessuno dei generali (non che lui sapesse, in realtà, ma questo è un dettaglio facilmente trascurabile) prima di quel momento: forse perchè c'era ancora tanto da fare a Sindria, neo regno fondato da una manciata di anni ed ancora in sviluppo, e nessuno aveva tempo libero da dedicare a qualcosa che non fosse un allenamento, o delle ricerche, o più in generale a risolvere problemi causati da altri - possibilmente non a livello internazionale anche, grazie Sinbad.

Quindi sì, il fatto che Masrur stesse chiedendo a lui cos'avesse pianificato, un po' lo lasciò spiazzato in un primo momento. Che volesse uscire a bere, finalmente, come i veri uomini? O forse - forse voleva chiedergli consigli, in privato, su come migliorare nell'arte della spada senza farsi vedere o sentire dagli altri generali. Avrebbe avuto senso, considerando che Sharrkan portava indubbiamente il titolo di miglio spadaccino di Sindria.

O ancora meglio, anche se con quest'ipotesi si stava addentrando in un terreno inesplorato ancora, aveva intenzione di domandargli aiuto su come conquistare una fanciulla che aveva attirato la sua attenzione. Oh, quello sarebbe stato grandioso!

Pieno di idee la cui verosimiglianza restava nel campo del dubbio, il più grande ovviamente gli rispose di aver tempo libero, aggiungendo per sicurezza un "puoi chiedermi quello che vuoi, eh! Non fare complimenti!" che suonò leggermente fuori luogo - non che avesse idea se Masrur avesse colto o meno l'indiretto messaggio in quelle parole, perchè da bravo Senpai verso un Kohai Sharrkan gli avrebbe fornito tutto il supporto necessario.

Non gli passò nemmeno per un momento, manco per l'anticamera del cervello, che forse l'essere chiamato appena al di fuori della capitale (nell'area dove la foresta regnava ancora sovrana ed incontrastata, salvo per un paio di sentieri battuti ed alcune aree lacustri e fluviali formatesi naturalmente nel corso del tempo) potesse avere un significato particolare. 

Masrur doveva davvero tenere alla privacy per scegliere un posto tanto appartato, lontano dal palazzo reale e dai soliti locali: quello dove l'aveva portato era un piccolo spiazzo pianeggiante, ove un piccolo lago s'era formato dal continuo scorrere di un fiume nell'ennesima conca naturale dell'isola. La sorgente doveva essere ancora un po' più in alto rispetto a dov'erano loro, perchè il suo corso era riuscito a formare una cascata alquanto scenica prima di tuffarsi nello specchio d'acqua sottostante. Un luogo piuttosto da spettacolo, se poteva dire la sua.

"Wow! Mica male, Marsur. Se ci portassi una donna, sono sicuro che ci rimarrebbe senza parole!" aveva commentato, mani sui fianchi e sguardo catturato dal continuo scrosciare dell'acqua.

Quello che aveva mancato di vedere, però, preso dalla magia della natura offerta ai suoi occhi, fu l'occhiata che il Fanalis gli riservò a quel commento. Si rese conto di essersi perso qualcosa quando, poco dopo, Masrur se lo caricò in spalla con un monotono "sei un idiota", prima di lanciarlo sotto la cascata che stava ammirando fino a poco prima, senza remore.

(Sharrkan ricordò l'evento mesi dopo, accoccolato al fianco dell'ora compagno dopo una lunga giornata, e realizzò che di aver quasi rovinato il loro primo appuntamento. Per fortuna, Masrur non gli aveva fatto pesare la cosa - non troppo, almeno.)

 


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Prompt: Mare

Word count: 810
Rating: sfw
Fandom:
Originale
Note:
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All'arrivo nella nuova dimensione, il mondo si capovolse. 

Reyes non sentì più la terra sotto i piedi, nè il delicato profumo dei fiori di campo che l'avevano circondata poco prima, ed anzi il vento sembrava sferzarle il viso, scompiglindole i capelli ed oscurandole così buona parte della visuale.

Ciò che colpì per primo i suoi sensi, furono i caldi colori del Terzo Sole - le sfumature che molti cieli dei mondi che aveva visitato assumevano al tramonto, quando il sole cedeva il posto nella volta celeste alla luna ed alle lontane stelle.

Poteva essere una questione di nostalgia, ma Reyes li amava. Forse più di quanto avrebbe voluto ammettere, considerando come la sua attenzione fosse stata rapita da essi per più di qualche secondo utile, altrimenti, ad evitare lo schiantarsi di faccia al suolo.

Presa dall'osservare i colori proiettati nel cielo e sulle nuvole, si rese conto con qualche momento di ritardo di essere ancora in caduta libera, infatti. Un attimo dopo ancora, anche del fatto che fosse in mare aperto: sotto di sè si allargava un'apparentemente infinita pozza d'acqua cristallina, salata e limpida come poche volte aveva visto in altri luoghi.

Voltandosi a tre quarti verso il "suolo", fece in tempo a vedere una nave muoversi in maniera del tutto anomala, troppo per essere in un mondo "normale": non percepiva l'energia prepotente, naturale attorno a sè com'era stato per Moebius, bensì focalizzata in pochi punti nel mondo - immaginò che si trattasse di quel tipo di dimensione in cui pochi fortunati, o sfortunati che si volesse dire, potessero sfruttare poteri particolari, o benedizioni divine che dir si voglia.

Avrebbe dovuto domandare conferma, al più presto. Per il momento, avrebbe lasciato la sua sorte in mano a colui o colei che stava comandando il vascello. "No," si corresse mentalmente, "le correnti del mare, più che il vascello."

Non volendo arrecare danno alcuno, ma spinta dalla curiosità più che dalla saggezza, l'unico incantesimo che lanciò la donna su di sè servì ad alleggerire il suo peso, per rallentare la caduta e non pesare troppo nè sulla vela della nave verso cui stava volando, nè tanto meno (in seguito) sulle braccia del suo prode eroe.

Probabilmente quel salvataggio fu uno dei più emozionanti della sua storia, a dirla tutta. Sebbene, a dirla tutta, non fosse veramente in necessità di essere salvata.

Le braccia dell'uomo, comunque, la sorreggevano con sicurezza dopo averla afferrata al volo, post impatto con la vela e scivolamento giù da essa, una sotto le sue cosce (in maniera del tutto propria, da galantuomo) ed una attorno alla sua vita. Reyes, di contro, si sorreggeva con le mani sulle spalle di lui, i lunghi capelli color vignaccia leggermente umidi ad incorniciarle il viso ed a cadere a mo' di tenda attorno al capo dell'uomo, pure.

Sorrise, lei, un'occhiata di gratitudine nelle iridi cremisi. "Grazie, mio salvatore." disse con leggerezza.

L'uomo, dal canto suo, sbattè più volte le palpebre come a volersi schiarire le idee. O forse capire se si trattasse davvero di una ragazza, che stava stringendo fra le braccia ed era appena atterrata sulla sua nave. Sembrò ponderare qualche secondo cosa dire, in effetti, ma qualunque idea avesse avuto in un primo momento parve essere dimenticata in favore di un più schietto- "Da quant'è che non mangia, signorina? E' così... leggera."

Reyes non specificò sul fatto che si trattasse di un effetto magico, optando invece per un'altra domanda. "Accade tutti i giorni che salviate qualcuno caduto dal cielo?"

L'altro scosse il capo, riposizionando le proprie mani per stringerle con salda presa i fianchi e tenerla sospesa in aria con facilità di fronte a sè. "No, in effetti no! Potrebbe essere... sì, direi che è la prima volta." ammise, e se fu affetto in qualche modo dalla mancanza di risposta non lo diede a vedere.

Intanto, attorno a loro, il vento cominciava ad alzarsi portando con sè i profumi del mare e del sole e del legno colpito da entrambi.

Quando finalmente (poco dopo, davvero) i suoi piedi tornarono a toccare il suolo, Reyes si prese qualche momento per osservare il ponte della nave, occupato per di più da tutto quello che uno si potrebbe aspettare di trovare, assieme ad un via vai di marinai che, nonostante la situazione particolare, non sembravano particolarmente turbati dal suo improvviso arrivo.

"Beh, direi che avete fatto un lavoro più che eccelso, sir." Con un piccolo inchino, Reyes ringraziò apertamente per il gesto. "So che non vi servono aiuti in senso magico, ma sappiate che avete la mia gratitudine."

L'uomo, osservandola ancora una volta da capo a piedi, poggiò le mani sui propri fianchi. "Perchè intanto non le offro uno spuntino, miss?"

Reyes, ancora una volta, sorrise ed accettò con gratitudine. Il rumore delle onde accompagnò entrambi, mentre si spostavano sotto coperta.

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Prompt: Pinguino

Word count: 610
Rating: sfw
Fandom:
Originale
Note:
 //




Eric non si considerava una persona particolarmente eccentrica.

Si trattava del classico uomo di famiglia, con una moglie che aveva sposato per amore e con cui condivideva ora una vita per abitudine, con due figli che (come tutti i bravi fratelli) non si potevano lasciare da soli in una stanza per più di cinque minuti senza che cominciassero a scannarsi per questo o quel motivo, ed infine con un cane che definire affettuosamente "stupido come un posacenere" (metafora a marchio di uno dei suddetti figli, probabilmente sentita da qualche parte a scuola) sarebbe un sincero eufemismo.

Lavorava per un'industria di sviluppo tecnologico, reparto software, e portava a casa una decente somma di denaro per mantenere la famiglia ed accontentare qualche vizio qua e là, sia di sua moglie che dei suoi figli che suo. Perchè onestamente sì, un contentino anche lui se lo meritava, dopo nove ore di lavoro più spostamenti da e verso casa, senza che potesse inserire questi ultimi nella nota spese. Braccino corto di un capo, si diceva. Un giorno sarebbe stato al suo posto, sicuro, continuava poi con tutta l'aria di chi si stava cercando di pompare per vedere il bicchiere mezzo pieno invece che mezzo vuoto (e per evitare di cedere alla tentazione di prendere la stilografica del suddetto braccino corto e ficcargliela in un occhio).

La vendetta era un piatto da servire freddo, aveva sempre sentito dire, però a lui i piatti freddi come il sushi o quegli stuzzichini strani da gourmet fanno davvero schifo, quindi insomma...

Ah, stiamo divagando.

Tutto sommato, quindi, Eric non era mai stata una persona eccentrica, anzi: pareva, dall'esterno, essere il riferimento della normalità più normale tra le cose considerabili normali.

Se non fosse per il pinguino.

Non ricordava quand'era accaduto per la prima volta, quindi nemmeno avrebbe potuto dire da quanto tempo la cosa andasse avanti di conseguenza, ma uno strano pinguino che apparentemente solo lui poteva notare aveva preso a seguirlo in ogni dove lui andasse. Usciva di casa per andare a lavoro? Se lo trovava bello spiaggiato come una foca sui sedili sul retro. Rientrava dopo la settimanale visitina in palestra, giusto per confermare le apparenze dell'uomo normale? Lo vedeva zampettare dalla cucina in salotto, con i suoi movimenti goffi e le braccine-alette che si muovevano tutte per tenere un equilibrio. Se l'era trovato anche in bagno, ad aspettarlo dopo la meritata doccia - e lì aveva quasi urlato, la prima volta, perchè porca puttana non è possibile che sto coso sia ovunque. Manco stessero facendo una replica di Psycho, poi, soprattutto perchè mancava il coltello.

Con il tempo, e per non destare sospetti, aveva preso ad ignorarlo ed esercitare una calma zen del tutto degna di lode. Ed a dirla tutta, si meritava anche un premio come attore dopo che suo figlio minore, Jackie, l'aveva sentito parlare da solo alla bestia malefica (non chiedete, era arrivato al punto di sperare che se avesse dato attenzioni a quell'affare, questo si sarebbe dileguato. Palesemente le cose non erano andate secondo i piani) ed era riuscito a giocarsela divinamente - "è solo una prova per un prossimo sistema intelligente, figliolo, uno che ti parla e ti chiede come aiutarti".

Aveva la certezza che Jackie se la fosse bevuta, perchè un momento dopo era già corso fuori dalla stanza per dire a suo fratello la grande scoperta, con tanto di elogi alla sua persona. Eric era certo di meritarsi il titolo di genio a tutti gli effetti.

E forse lo era veramente, in fondo: tutti i geni sono un po' pazzi, si dice. La prova di Eric era un pinguino stalker che solo lui vedeva.


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Prompt: Drago

Word count: 590
Rating: sfw
Fandom:
Originale
Note:
 //




Tra tutte le qualità per cui, chi lo conosceva, avrebbe potuto fargli sincere congratulazioni (ben poche, davvero) senz'ombra di dubbio spiccavano la sua determinazione e la capacità di completare un incarico a tutti i costi. Quasi. Probabilmente molti avrebbero guardato a quella che poteva essere definita una caratteristica positiva come qualcosa di negativo, chiamandola "testardaggine" oppure anche "ossessione", ma con tutta onestà c'era ben poco che Hisei potesse farsi di quelle opinioni. 

Gli altri non potevano vantarsi di aver scoperto una nuova razza di creature magiche alla tenera età di sedici anni. Gli altri avevano forse un quarto della sua capacità atletica e dei suoi riflessi, specialmente dopo i mesi passati ad evitare di spiaccicarsi al suolo come un incantesimo Meteora e diventare una pozza di capelli rossi e occhi verdi ed ambizione di diventare il miglior fottuto ricercatore di creature magiche dell'intero continente. Grazie tante.

Tornando al presente, comunque, Hisei si era premurato di consultare la sua magnanima genitrice non umana - Mamma Ilkenlast aveva sempre mostrato un enorme supporto per lui e le sue idee, se non altro finchè queste non riguardavano qualcosa di pericoloso o il tentare di fare qualcosa di veramente stupido. Ergo, pericoloso - prima di effettivamente lanciarsi nell'impresa. Il suo 'fratellino' Heilon, pure, si era offerto di accompagnarlo (e praticamente fargli da mezzo di trasporto, dato che solo uno dei due era un drago completo ed in grado di trasformarsi da forma reale a umano e viceversa; l'altro era, a detta di tale drago, "uno sfigato che si ficcherebbe nei guai da solo, o si farebbe mangiare", e siccome tale scenario renderebbe mamma Inlkenlast veramente triste, "per carità degli dei, Hisei, verrò con te").

Ogni tanto, davvero, l'istinto protettivo della stirpe dei draghi aveva un non so che di limitante - non per i draghi di per sè, mai per loro, perchè creature tanto magnifiche ed antiche e potenti non avrebbero avuto bisogno del "permesso" per proteggere o smettere di proteggere ciò che consideravano "loro", ma per i soggetti a quel tipo di protezione. Il giovane ricercatore, fortuna o sfortuna volendo, era stato inserito in questo schema di protezione e, in aggiunta, in quella che si poteva considerare una grande famiglia composta da Mamma Ilkenlast e dai pargoletti (umani, draghi umanoidi o sanguemisto) che questa aveva adottato nel corso degli anni.

Era lì che Hisei aveva inizialmente incontrato Heilon - un giovane drago già in grado di assumere forma umana, sebbene la sua pelle fosse occasionalmente coperta da squame che non riusciva a nascondere ed i suoi canini decisamente più lunghi ed appuntiti rispetto a quelli di un comune umano. Le loro prime interazioni... beh, diciamo che la tenerissima età di entrambi e le esperienze di entrambi non avevano aiutato. Una volta superato il primo muro, tuttavia, erano diventati pressochè inseparabili, finchè ognuno non aveva scelto quali passioni perseguire.

Hisei voleva bene ad Heilon. Sapeva anche che Heilon gliene volesse di rimando. Ciò non cambiava il fatto che se avesse voluto buttarsi a volo d'angelo giù da un ramo per acchiappare un esemplare raro persino della razza, rara già di per sè, su cui stavano raccogliendo informazioni, l'altro avrebbe dovuto avere un minimo di fiducia. Non trasformarsi, acchiapparlo letteralmente per la collottola come un gatto mancato con le sue zanne, e trascinarlo via verso il patheon solo sa dove.

Un drago per amico è raro, per compagno è prezioso, ma per fratello è veramente una rottura di palle.

(Toccategli suo fratello, comunque, e sarà l'ultima cosa che farete mai in vita vostra.)

 


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Prompt: Anfibio

Word count: 910
Rating: sfw
Fandom:
Owari no Seraph
Note:
 //




Ferid non è mai stata nè mai sarà una persona con cui è facile avere a che fare, sin da principio ed ancora di più difficile da reggere se ci si entra in confidenza. Perchè sì, insomma, siccome non c'è mai limite al peggio - e Crowley è ormai dichiaratamente un masochista, per voler continuare ad avere a che fare con l'altro - Ferid Bathory è considerabile una minaccia per la società e per tutto il dipartimento di Fashion Design.

Pur ammesso che, nel suo essere una creatura caotica ed imprevedibile, non si può negare che il suo senso estetico sia qualcosa su un altro livello, ci sono volte in cui il rosso pensa che forse avrebbe fatto meglio a darsela a gambe quando l'altro l'aveva approcciato la prima volta. Però, a sua discolpa, al tempo era una matricola appena trasferita in città e con zero conoscenze che potessero metterlo in guardia.

Era anche cominciata bene, a dirla tutta: Ferid appariva come appare tutt'ora un tipo eccentrico, un po' misterioso (nel senso che ti nasconde tante cose ed è forse meglio che tu non sia tra i "fortunati" che arrivano a scoprirle tutte) e molto, molto invadente una volta che qualcuno attira la sua attenzione.

Crowley, come dire, l'ha attirata così tanto che dopo un paio di mesi sono finiti a letto insieme - da adulti e vaccinati quali sono, nessuno gliene fa una gran problematica - e, per qualche ragione, da quel momento non si sono più veramente separati. 

Il che, naturalmente, ha comportato l'inizio di una convivenza in cui non aveva creduto inizialmente nessuno dei loro amici, in comune e non. Eppure, dopo un paio di traslochi e cambi di affittuario per motivi a cui Crowley non voleva ripensare, eccoli lì, in un appartamento discreto ma che risponde del tutto alle loro esigenze - e già l'essere a metà tra i loro rispettivi istituti è una gran cosa - e con l'ennesimo dramma dell'inizio giornata.

Chissà di cos'è il turno oggi, pensa lui, intento a sfogliare il giornale che ha recuperato dall'edicolante a due passi dalla panetteria, dove ha già recuperato la colazione per sè e per la primadonna nella stanza accanto. 

Giura di amare Ferid, probabilmente più di quanto sia credibile agli occhi altrui, ma sentirsi domandare tre volte al minuto "Crowley caro, hai visto i miei anfibi? Quelli alti, neri, con tutti i lacci ed il tacco più fine?" magari anche no.

Se sente bene, con il filo di attenzione che concede al fidanzato durante una di quelle ricerche maniacali, adesso è alla lettera M della rubrica di contatti a cui potrebbe, come non potrebbe, aver prestato i suddetti stivali. O dove li aveva dimenticati, che dir si voglia. Ossia, è il turno del povero Mikaela - suo sfortunato compagno di corso, seppur di qualche anno più giovane, che aveva avuto la discutibile fortuna di lavorare su un progetto collettivo qualche mese prima. La platonica infatuazione di Ferid per il poveretto l'avrebbe quasi preoccupato, se non avesse assistito al salvataggio da parte del fidanzato di Mikaela (tale Yuichiro) e del suo gruppo di amici, durante un'uscita in città.

Bravi ragazzi, quelli. 

Prendendo l'ennesimo sorso di caffè, fa in tempo ad accorgersi dei passi ovattati sul pavimento, in rapido avvicinamento. Alza lo sguardo dal giornale e, oltre gli occhiali, incrocia il viso di Ferid, ancora impegnato a scorrere la lista contatti.

"E' incredibile! Nessuno li ha visti!" sbotta l'aspirante stilista, alzando il braccio libero al cielo come a sottolineare la sua esasperazione. "Con quello che ci ho impiegato a sistemarli perchè fossero esattamente come li volevo... non posso pensare che siano spariti nel nulla. Qualcuno deve averli presi."

"Magari li hai messi in qualche armadio quando ci siamo spostati?" offre il rosso di contro, pacato e diplomatico. 

"No, sono sicuro di averli tirati fuori. Devono essere qui da qualche parte, oppure da qualcuno che conosciamo."

Altro sorso di caffè. Crowley pensa che la caffeina sia la cosa migliore al mondo in quei momenti. "Pensavo avessi già finito il giro contatti?"

"Mi mancano ancora Krul e la fidanzatina di Guren."

"... E tu credi davvero che una di quelle due abbia i tuoi stivali?"

"Era un'ipotesi!"

Crowley sospira, chiudendo e posando il giornale sul tavolo accanto alle brioches ed al caffè. Si alza, in silenzio, ed ignora la domanda "dove vai?" che gli arriva naturale e scontata come il respirare. Entra in camera da letto, fruga in uno scaffale dell'armadio che gli viene particolarmente facile da raggiungere data la stazza, e tira giù uno scatolone che esamina subito.

I maledetti anfibi che Ferid sta cercando da almeno un'ora e che lo stesso gli aveva espressamente detto di mettere in alto sugli scaffali, così che nessuno potesse metterci mano. 

"Sei sicuro di aver guardato in tutta casa?" chiede, per conferma.

Dall'altra stanza, gli arriva un sonoro ed indignato: "Ovvio, per chi mi hai preso!".

Crowley richiude quindi la scatola, la ripone esattamente dove l'ha trovata e decide di far soffrire il suo ragazzo ancora per un po'.

Ritorna da Ferid con l'espressione che aveva giusto quando s'è allontanato nemmeno cinque minuti prima. L'altro ha cominciato finalmente a fare colazione e Crowley, da bravo partner, decide di scaldargli un'altra tazza di caffè, per galanteria.

Forse gli avrebbe fatto trovare gli stivali a rientro dai corsi, la sera. O forse no, perchè comunque una vendetta se la merita anche lui ogni tanto, e che diamine.

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