Mar. 24th, 2019

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Respiro affannato, la gola che brucia. Le sue dita fredde posate contro il pomo d'Adamo, come per offrire un sollievo che tuttavia non arriva.

«Sono vicini...» mormora Danny, con voce spezzata. «I Cinerei ci prenderanno!»

Il panico, per comprensibile che sia, non è un alleato che servirà tra poco.

Leroy lo fulmina con lo sguardo, intimandogli di tacere subito. Deve pensare, non può lasciare che li prendano. Non ora, non così.

All'improvviso, la temperatura cambia e respirare diventa impossibile. Ogni soffio d'aria è come un carbone ardente, in piccoli pezzi malefici.

Danny sta urlando ora, al suo fianco.

Game Over.


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Conta i secondi, i minuti, le ore; nonostante quelli significhino ben poco in quella dimensione--è più un passatempo che una necessità.

Forse, si dice, è una naturale conseguenza delle sue origini: la mortalità non è facile da dimenticare.

Per questo Eliann attende e basta accanto alle altre divinità antiche; ancora vive, mai dimenticate. E lei pure è una di loro, adesso.

Il destino di un immortale, vissuto nel suo Nome e morto per lo stesso.

Ancora, però, prega di potersi riunire al suo amato, un giorno, poichè anch'egli è condannato alla medesima sorte.

(Finchè Morte non riesca a ricongiungerli, infine.)

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Fandom: Bungou Stray Dogs

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Occhi chiari scorrono sulle righe, parole bianche sul nero della carta. Buffo come quel foglio possa conferire più potere di quanto avrebbe mai voluto.

Un compito che solo lui può svolgere con successo, gli dicono. Poco male, pensa, è solo un'altra investigazione da portare a termine.

Occhi chiari, stanchi, incontrano i gemelli castani, colpiti dalla luce del tramonto e resi simili a gioielli. Non hanno la stessa lucentezza delle gemme, ma il loro valore non potrà mai essere misurato. Nessuno sa cosa essi vedano, nè mai potrà sapere.

E' un segreto solo loro, l'ultima eredità di un legame ormai troncato.

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Non si tratta di fiducia, nè di senso del dovere. Nulla di così nobile.

Semplicemente, rifiuta di veder morire qualcuno davanti ai suoi occhi.

Evitare un incidente in procinto di accadere, fare la differenza? L'ha fatto senza il minimo pentimento.

Anche ora, che di fronte ha l'origine di esso.

«Non hai paura?» domanda il carnefice, torreggiando sopra di lei con un sorriso malvagio.

La ragazza, una mera civile, annuisce silenziosamente. Non si muove.

Un'espressione sardonica la deride.

«Così sincera... quasi mi tenti a tenerti per me.»

Dita artigliate le coprono gli occhi, ora sbarrati dal terrore. Poi, solo il buio.

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La valle degli spiriti è un luogo sacro e dannato. Nessun uomo sano di mente vi si addentrerebbe.

Eppure, osserva il Guardiano dal rifugio, qualcuno sta osando. Domanda, quindi, all'uomo cosa stia cercando; egli risponde, pacato, che desidera rivedere una persona cara.

«Non può essere qui colui che cerchi, nessun umano che vaghi su queste terre vanta di poterlo raccontare.»

L'uomo non demorde. «Allora non deve trattarsi di un umano, perchè lui stesso ha detto di vivere qui.»

Impossibile, ribadisce il Guardiano, ma ancora l'altro insiste.

«Concedimi una scommessa.» propone. «Avrai sette giorni per trovare questa persona. Quando fallirai, diventerai uno spirito della valle.»

Nonostante tutto, l'uomo accetta immediatamente.

Sei giorni sono passati dallo scambio, ma ancora l'umano non ha trovato colui che cerca.

Il Guardiano è silente, non intende ricreare il contatto mentale del primo giorno. Osserva e basta.

Non comprende perchè abbia offerto una possibilità simile--nessun umano dovrà mai vagare nella valle--ma ugualmente attende. Speranzoso, quasi.

Al settimo tramonto, il rumore di passi trascinati coglie lo stoico Guardiano di sorpresa. Nei secoli passati nessuno l'ha mai raggiunto, nascosto com'è nella foresta. Occhi sgranati guardano l'uomo procedere stancamente fino ai gradini del corridoio esterno (su cui il Guardiano si trova), salire ed affiancarlo, infine.

Braccia tremanti scivolano attorno alle sue spalle, stringendolo poco dopo (un calore--che non dovrebbe essergli così familiare--avvolge il Guardiano, insieme ad un'incredibile stretta al petto), e la fronte dell'uomo si posa sulla sua spalla. I capelli gli solleticano una guancia.

«Ti ho ritrovato.» Tre parole mormorate con affetto indescrivibile rompono il silenzio. «Sei a casa, ora.»

Il Guardiano della valle non rimembra il volto, nè la voce, nè il nome di quell'uomo. Tuttavia, il modo in cui la sua anima piange con gioia per quelle parole è più reale di mille ricordi della sua mente.

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«L’hai fatto di nuovo.»

«Mi dispiace.»

Un suono sordo riecheggia nello spazio tra loro, vicino all’orecchio destro di lei. Lei, che ha chiuso gli occhi d’istinto ancor prima che la mano aperta si sia schiantata contro il muro alle sue spalle. Trattiene il respiro per qualche secondo, risollevando lentamente le palpebre.

Riesce a vedere il petto ampio dell’altro per un istante, ma prima che possa alzare lo sguardo un paio di braccia le avvolgono la vita.

Un gridolino di sorpresa le sfugge quando si sente sollevare da terra, per riflesso più che per reale paura. Poco dopo, con un sospiro ed un tremolio nella voce, l’uomo poggia la fronte contro la spalla di lei.

E’ una posizione un po’ scomoda, data anche dalla differenza d’altezza, ma nessuno dei due la rifiuta.

«Potevano farti del male.»

«Lo so.»

«Non avresti saputo difenderti.»

«E’ vero.»

«Se ti fosse successo qualcosa...»

Non l’avrebbe retto, non c’è bisogno di pronunciare tali parole a voce alta.

Il mondo gli ha già portato via innumerevoli persone e cose a lui preziose. Le schermaglie, gli esperimenti, la riabilitazione; ha superato ogni cosa, testa alta e denti stretti. E’ un combattente, incapace di arrendersi e cadere in silenzio.

Ma quella persona… se gliel’avessero portata via...

«Hyacinthe...»

Anche il modo in cui lei mormora il suo nome, con toni di conforto e dolcezza, è qualcosa a cui non vorrebbe mai rinunciare.

E, mentre mani delicate passano tra i suoi capelli accompagnate da rassicurazioni (sono qui ora, non andrò via), l’uomo si trova a stringersi un poco di più a lei, rifugiandosi in quel calore amorevole, in grado di riempire le crepe nel suo spirito con semplice naturalezza.

Più preziosa di qualsiasi gioiello, è il suo tesoro, il suo porto sicuro; una certezza divenuta uno dei pilastri della sua vita.

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Non è la prima volta che qualcuno prova ad ucciderlo, nè sarà l’ultima ancora.

Questo tentativo, è certo, non proviene dal suo popolo questa volta--una certezza rafforzata dalla rete di informatori della corona, la cui responsabile è qualcuno a cui il sovrano ha affidato la sua stessa vita.

Sospira, nella solitudine del suo studio privato, riposando la testa contro lo schienale della sedia. Le labbra dischiuse ispirano un poco d’aria, prima che una silenziosa presenza dia indizio di sè. Mani callose, seppur leggere nel tocco, gli sfiorano le braccia, risalendo verso le spalle, facendo sussultare l’uomo.

«Sono io, mio signore. Solo io.» annuncia l’Ombra del re, ogni parola pronunciata con falsa dolcezza.

La tensione scompare quasi all’istante dai muscoli del regnante, ancor più con le rilassanti cura a cui viene sottoposto.

«Avete scoperto qualcosa?» domanda lui, occhi chiusi e voce stanca. Nonostante ciò, “sente” l’ombra scuotere il capo.

«Nulla di concreto, ma...»

«Ma?»

«Girano voci interessanti, in paese.»

Gli occhi del re si riaprono lentamente, rivelando iridi color vermiglio, che si puntano subito sul volto incappucciato innanzi a lui.

«Continua.» ordina.

«Il regno di Khalheid, a cui avete negato la mano di Sua Grazia. Pare non abbiano preso bene la cosa.»

«Khalheid è una terra di barbari, mia nipote non merita un animale come marito.»

C’è una nota sprezzante e definitiva nella sua voce, che fa sorridere l’Ombra.

«Se fossero davvero loro i colpevoli, sire, come dovremmo agire?»

Una simile accusa resa pubblica significherebbe guerra certa, con o senza prove solide. Non può, nè vuole, assoggettare il suo popolo ad una simile condanna ma al tempo stesso non può permettersi rischi.

E’ l’unico che può sedere sul trono al presente, per diritto e per età.

«Oh, conosco quello sguardo.» l’Ombra freme d’anticipazione. «Devo convocare gli altri?»

«Non ce n’è bisogno. La soluzione è una sola.»

Distruggere Khalheid prima che essa distrugga tutti loro.

Il re avverte in quel momento le mani dell’Ombra passare dalle spalle alla gola, fermandosi solo dopo avergli alzato il capo delicatamente. Un tocco leggero, morbido, si posa sulle sue labbra.

«Pronunciate il nostro nome ed i Vostri desideri saranno la nostra ragion d’essere.»

Con una lieve esitazione, egli ispira rapidamente; segue un solo istante di silenzio, in cui il suo sguardo è catturato dall’oscurità assoluta sul volto dell’Ombra--densa, pesante, bramosa di sangue.

Mormora il suo--il loro nome, allora. Il suo desiderio ed ordine è impresso nell’Io delle sue inumane alleate.

Settimane più tardi, giunge la notizia a lui così come ai paesi vicini. Khalheid è caduta vittima di una guerra civile, culminata con la morte della famiglia reale. Si chiede a volte se il patto formato con quelle creature sia stata la cosa migliore che avrebbe potuto fare, per garantirsi il potere di difendere il suo regno.

Nonostante tutto ciò che ha già fatto, che ha ordinato per il Bene comune, dubbio e pentimento si fanno strada nel suo animo, mentre una maligna voce ricca di scherno--verso di lui--ancora gli sussurra dolci promesse di pace all'orecchio.

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