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[personal profile] hannyakoma
Prompt: I’m on watch here, so close your eyes and get some rest.

Word count: 1010
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Royalty!AU. Amo scrivere di Freyr tanto quanto amo tormentarlo.



Una guerra non sarebbe mai dovuta durare così a lungo. Anche ove fosse diventata una necessità, la morte e la distruzione che essa portava non avrebbe dovuto mai diventare una costante nelle vite di nessuno, dai regnanti ai soldati alla nobiltà ed alla plebe.

Molti la vedevano solamente uno scontro di potere, di abilità e soprattutto di risorse, dove sarebbe uscito vincitore chi poteva vantare la maggioranza degli stessi. Non si guardava mai a ciò che essa lasciava, poichè l’obiettivo ed il fine ultimo era la vittoria--un chiaro esempio di quanto gli uomini potessero essere ciechi di fronte alla realtà ed al buonsenso.

Forse era per questo, insieme a tanti altri motivi, che suo padre--il precedente re--era stato deposto. Assassinato, corresse una vocina nella sua mente, anche se a quel punto la semantica aveva ben poco valore.

Quand’era accaduto, oltre allo sconcerto iniziale, la reazione nei due principi fratelli aveva avuto una sfumatura più… tiepida. Niente stupore, niente dolore. Solamente una fredda, razionale (e, che gli dei e la Stella li perdonino, sollevata) accettazione.

Alla veglia funebre, Siegfried e Freyr stavano fianco a fianco, di fronte alle spoglie mortali di loro padre. L’espressione impassibile, degna del titolo regale a loro conferito dalla nascita, e la postura rigida ma perfetta, anch’essa niente meno che un risultato degli anni di lezioni avute in età giovanile. La cerimonia non fu particolarmente degna di nota, se non per la nota meraviglia nell’assistere nel rituale dell’ultimo saluto: tutti sembravano quasi rapiti dai rapidi e precisi movimenti della sacerdotessa del tempio, incaricata di “guidare” l’anima del defunto verso l’aldilà con le armoniche note del suo qin.

Per lunghi momenti, Freyr aveva temuto di sentire la fanciulla annunciare che lo spirito di suo padre si rifiutava di abbandonare quella terra. L’insensato terrore che quell’idea, fattasi strada nelle sue ossa come il gelo invernale, aveva instillato in lui l’aveva irrigidito come le corde dello strumento più sacro agli dei--qualcosa che, lo sapeva, non poteva essere passato inosservato al fratello maggiore.

Fortunatamente, Siegfried non era tipo da fare domande. O curarsi di lui, per quel che ne sapeva.

*


“Una cerimonia adorabile, mio signore. Non ne convenite?”

Di tutte le cose a cui Freyr avrebbe dovuto abituarsi, quella--era sicuro--sarebbe stata la più difficile. Sobbalzato all’apparizione della creatura, quasi rischiò di rovesciare l’inchiostro del calamaio sulla lettera che stava terminando di scrivere momenti prima da tant’era la foga con cui si era mosso. Gli occhi castani dell’uomo vagarono febbrilmente per la stanza, fino a posarsi sulla poco familiare figura incappucciata vicino al finestrone della sua camera. Solo allora, nel riconoscere la sua mortale alleata, riuscì a calmare in parte il battito frenetico del cuore, che minacciava di balzargli fuori dal petto.

“... Non apparire dal nulla in questo modo.” la redarguì, aggrottando le sopracciglia in un modo che sperava essere almeno la metà contrariato e severo di quanto desiderava. Speranza vana, considerata l’ilarità causata nella creatura stessa da quella reazione.

“Perdono, perdono. Purtroppo, tendiamo a dimenticare la fragilità dell’animo mortale, a volte, poichè un’Ombra non soffre di tali limitazioni.” 

Il clan delle Ombre, una leggenda tramandata ormai per spaventare i bambini più che per ricordare il loro passato di terrore seminato nelle lande. Creature indubbiamente non umane, in grado di esistere nel mondo mortale così come nell’Aldilà--non vive, ma mai veramente morte--e di commettere i più spregevoli atti senza la minima remora, se il loro signore così desiderasse. 

Quella stessa leggenda aveva giurato fedeltà a lui e lui soltanto.

Era stato un azzardo dato dalla disperazione e dal desiderio che tutto finisse, una volta per tutte. Quando aveva trovato il libro del rituale nella biblioteca privata di suo padre, non aveva pensato due volte prima di fare un tentativo: un patto con quegli esseri avrebbe potuto rappresentare l’unica speranza per il loro paese, per porre fine alla guerra che dilaniava le loro terre. 

Quando la cacofonia di voci, che solamente lui poteva sentire per via del patto, gli avevano risposto ed offerto l’aiuto che tanto desiderava, il giovane vi si era lanciato come un uomo affamato su un pezzo di carne.

Egoisticamente, altruisticamente, Freyr aveva agito--contro i paesi limitrofi, nemici della sua patria. Contro suo padre, tiranno del suo stesso popolo. Per suo espresso ordine, le Ombre avevano eliminato gli oppressori che da solo non sarebbe mai riuscito ad eliminare.

Era diventato un assassino, per quanto le sue mani non fossero macchiate di sangue.

Tale presa di coscienza, insieme alla certezza di quali sarebbero state le conseguenze se qualcuno avesse scoperto c’era arrivato a fare, avevano fatto sì che le sue passate notti fossero trascorse nella completa incapacità a prender sonno. Il concetto di riposo suonava più come un sogno distante, irraggiungibile, con il terrore che lo travolgeva come un fiume in piena.

L’avrebbero condannato per eresia, la chiesa ed il popolo al tempo stesso. L’immaginava già, la sua fine, indegnamente segnata dalla moralità collettiva, ma sperava in cuor suo--con un frammento di assoluta, deliziosa innocenza che gli era rimasta dalla fanciullezza--che almeno qualcuno vedesse che le sue azioni erano state votate al bene comune.

Sperava, pregava.

“Mio signore”, richiamò la voce di un’Ombra, molto più vicina di prima; era diversa dalla precedente, notò Freyr, più dolce ma ugualmente familiare alle sue orecchie. Questi sobbalzò nuovamente, strappato dai suoi pensieri ancora una volta, e si voltò verso la figura al suo fianco. “E’ tempo che riposiate, ora. Penseremo noi a vegliare su di voi durante il vostro ristoro.”

Freyr avrebbe voluto rifiutare, per terminare ciò che aveva cominciato prima di coricarsi, ma il modo in cui le mani gelide dell’Ombra lo guidarono dalla scrivania al letto e la delicata melodia che mormorava riuscirono a strappargli uno sbadiglio. Colto da un’improvvisa stanchezza, si trascinò sotto le coperte e poggiò la testa sul morbido guanciale.

“Solo un paio d’ore, allora…” mormorò lui, palpebre pesanti e voce già impastata dalla stanchezza.

Dopo giorni di notti insonni, finalmente, il giovane nobile riuscì a chiudere occhio ed avere un riposo privo di sogni, cullato da una melodia antica e da dita delicate ad accarezzargli i capelli.

 

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