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[personal profile] hannyakoma
Prompt: Don’t leave, don’t leave, I want you to realize when I’m gone.

Word count: 1000
Rating: sfw
Fandom:
Boku no Hero Academia
Note:
OC!Centric. Kurosaki Sayzor, che viene nominato nella seconda parte, è il protagonista di The Chronicles of the Dark Knight su Wattpad ed il main OC di un mio caro amico, a cui dedico sto 1K di pare mentali ed angst su Haine. <3



C’era un qualcosa di sbagliato in quel suo desiderio. 

La sensazione di vuoto che percepiva all’interno del petto e la certezza che questa potesse essere colmata solamente dalla presenza di un’altra persona--persona che al contempo era balsamo e acido, salvezza e condanna--la stava facendo impazzire. Il contrasto tra le due cose, desiderio e reale necessità… sapeva da cos’aveva avuto origine, tuttavia rifiutava di affrontare la questione. Negare era l’unica soluzione accettabile, non pensarci e fingere che quell’ultimo dialogo avuto con lui non fosse mai esistito.

I tremori continuavano imperterriti a scuoterla. Aveva dovuto sedersi su una panchina del parco ove si era recata per non finire per terra, quando gli stessi avevano cominciato a colpire anche le gambe. Ed anche lì, tremava e tremava, come se fosse stata nuda nel bel mezzo di una tormenta.

Sperava, pregava che tutto finisse presto.

“Haine!” La voce di Kaoru, leggermente affannata e piena di sincera preoccupazione, riuscì a farle alzare lo sguardo dal secco terriccio di fronte a sè. Il giovane, suo confidente ed aspirante psicologo, si inginocchiò di fronte a lei dopo averla chiamata nuovamente, vedendo che la più piccola non sembrava in grado di muoversi. “Haine… cos’è successo? La tua chiamata di prima--credevo ti fosse successo qualcosa, mi hai spaventato a morte.”

Kaoru, sempre presente e preoccupato e comprensivo. Una figura su cui la ragazza sapeva di poter contare per liberare i suoi più reconditi pensieri, senza creargli disturbo, senza sentirsi giudicata o sminuita.

Strinse le labbra in una linea dritta per qualche momento quando l’altro le domandò ancora cos’avesse, poggiandole le mani sulle spalle in un gesto di conforto. Poco dopo, sentì le stesse tremare e la vista si fece offuscata, liquida--scoppiò a piangere ancor prima che potesse rendersene conto

La barriera che aveva costruito nel corso degli anni per mantenere le emozioni sotto controllo, le sue idee “dissidenti” nascoste all’occhio del pubblico ed i suoi desideri più irrealizzabili persi nella fitta nebbia della sua mente; tutto ciò crollò come un castello di carte esposto alle intemperie.

Non si fidava più degli eroi, della società o del perbenismo dilagante in essa. Desiderava che sua madre fosse ancora con lei e non quattro metri sotto terra. Esigeva una vita tranquilla, un equilibrio. Bramava di poter tornare a credere nelle parole altrui. Sperava di poter ottenere la forza necessaria per abbandonare le sue paure nel passato, ove esse appartenevano.

Voleva poter proteggere chi amava, sempre e comunque, senza che altri le ponessero limiti.

Kaoru rimase ad ascoltarla fino alla fine, accogliendo i singhiozzi e la disperazione e le braccia strette attorno al suo collo (un’ancora, un appiglio al presente, alla realtà) con la pazienza di un santo e le cure di un fratello maggiore. Le offrì il conforto di cui aveva bisogno e la piccola spinta che le mancava: ove la società, lo status quo delle cose, le avevano imposto dei freni, lui semplicemente suggerì di ignorare qualsivoglia freno esterno potesse avere.

Era semplice, in fondo. Bastava poco per cambiare ogni cosa nella sua vita. 

L’unico suo errore, si disse, era stato impiegare così tanto a realizzare una verità tanto semplice.

*


Stardust osservava il vicolo ai piedi dell’edificio con muto interesse, le iridi cobalto fisse sulle due scure figure intente a scambiarsi convenevoli. Seppur i suoi ordini fossero stati di restare a guardia della residenza insieme ai suoi due nuovi colleghi, non aveva resistito il bisogno di seguire il suo maestro mentre rientrava dall’incontro con il giovane boss della yakuza--il suo nuovo capo, ora che ci pensava. Tendeva a dimenticare la cosa, dato che lo era diventato solamente da qualche ora.

Era una conseguenza naturale al suo “nuovo” essere: vegliare su coloro che godevano della sua fiducia, che l’avrebbero aiutata a raggiungere un obiettivo che condividevano a loro volta. Non che il rispettabile maestro avesse bisogno di una ragazzina a fargli da guardia, ma… Considerando la personalità dell’uomo, non era da escludere che potessero esserci incidenti di percorso, specialmente se questi incontrava dei giovani eroi.

Il suo ex compagno di scuola era lo sfortunato esempio della giornata.

“Kurosaki-san, corri a casa.” mormorò la giovane, accovacciata sul bordo del tetto, le braccia conserte e poggiate sulle ginocchia. “Vattene, vattene da lì. Non è tipo che puoi affrontare adesso.”

Era curioso, se ci avesse pensato, come il giorno della partenza del ragazzo verso il camping di allenamento, Haine non avesse voluto altro se non dirgli di rimanere al suo fianco. Che diventasse la sua costante, la certezza giornaliera di cui aveva bisogno per star bene con se stessa (per non pensare al terrore, al senso di tradimento che provava verso eroi e società, per soffocare il desiderio di cedere al suo quirk e liberare tutta l’energia che accumulava giorno per giorno, al diavolo le conseguenze).

La presenza di Kurosaki stava diventando una necessità, per lei.

E probabilmente tale reazione era riprova di quanto desiderasse, nonostante tutto, essere salvata prima che fosse troppo tardi. Un impulso che era stato già accuratamente soffocato, ancor prima che potesse darvi voce.

In un istante, la ragazza si rialzò dalla posizione in cui si era accomodata, incurante dell’equilibrio precario del suo appoggio. L’orizzonte, segnato da file di grattacieli ed edifici costruiti da mano umana, si ribaltò per qualche secondo mentre il suo corpo precipitava verso il vicolo sottostante, senza freni nè paura. 

L’aria le sferzava il viso, lasciando sfuggire la massa di capelli rossi dal cappuccio della felpa durante la caduta--una sensazione, per semplice che fosse, liberatoria--finchè, con calcolata precisione, quest’ultima non fu interrotta ad un metro dal suolo.

Atterrò nello stesso punto in cui, fino a pochi minuti prima, era in piedi il giovane eroe dal costume nero. Ironico come gli sarebbe bastato alzare lo sguardo per vederla, considerò lei mentre si risistemava il cappuccio sul capo. Un’occasione sprecata: l’ennesima in cui l’assenza non gli aveva permesso di notare quando se ne fosse andata a sua volta.

Poco male, si disse ancora Stardust, imboccando il vicoletto per tornare verso la residenza. Aveva del lavoro da fare, dopo tutto.

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