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Prompt: Accordo perfetto
Word count: 1231
Rating: sfw
Fandom: Bungou Stray Dogs
Note: Dedicata a Lele, che mi ha fatto riscoprire la gioia di questi due maledetti. <3
Quando si presentò di fronte a lui per la prima volta, Oda Sakunosuke gli parve una persona seria e competente. Le voci su quell’uomo lo precedevano lungamente, seppur diametralmente opposte.
Qualcuno tesseva le sue lodi come assassino, come colui a cui bastava un solo colpo per atterrare un bersaglio—e Dazai fu sicuro al cento percento di questa sua dote dopo averlo visto di persona, perchè colpire un bersaglio mobile da una distanza come quella a cui si trovava Oda richiedeva non solo una mira perfetta, ma anche una prontezza d’animo che non tutti potevano vantare.
Qualcun altro, appartenente alla metà che Dazai reputava più sciocca e limitata, lo definiva uno mero sgherro, un “cane della mafia”—un termine usato largamente come dispregiativo, specialmente per i membri di basso livello.
Quest’ultima categoria irritava alquanto il giovane esecutivo, perchè la diceva lunga sulla mancanza di capacità di osservazione generale: certo, l’uomo aveva un animo ben più gentile di molti altri suoi colleghi ed a differenza di questi non pareva avere interesse nè volontà di fare strada nel loro mondo, ma ciò non significava affatto che fosse uno stupido.
Nel presente era certo, Dazai, che se l’altro avesse voluto, avrebbe potuto abbattere ciascuno di coloro che lo sottovalutavano con la stessa facilità con cui un musicista riusciva ad accordare il suo strumento ad orecchio, con una precisione perfetta.
Quindi, sì. Se qualcuno gli avesse domandato se Oda Sakunosuke fosse un uomo di valore, il giovane avrebbe risposto affermativamente e non senza un certo orgoglio nel petto.
«A cosa pensi?»
La domanda giunse al momento giusto, come se chi l’aveva posta avesse percepito la sfumatura spiacevole delle sue riflessioni post risveglio—così definibili almeno nei giorni in cui riusciva a chiudere occhio per più di qualche ora.
Le iridi castane del più giovane andarono ad incontrare quelle dell’altro, placide e limpide come il cielo mattutino che s’intravedeva dalla finestra. Dazai sentì le proprie labbra stirarsi in un sorriso, non uno di quelli elusivi nè quelli enigmatici che lo contraddistinguevano ma uno semplice e, sorprendentemente, sincero.
«Mmh, a nulla di particolare...»
La risposta che gli aveva dato non l’aveva per nulla convinto, Dazai ne era sicuro. Così come era sicuro che la lontananza dall’organizzazione, l’essere riusciti a distaccarsi da un passato che poteva solamente nuocere ad entrambi, avesse aiutato Odasaku a sentirsi più… libero, nel mostrare anche le sue emozioni più leggere.
O forse, e questa era l’opzione che lusingava Dazai più delle altre, l’ex assassino si concedeva quelle libertà solamente perchè stava con lui.
Un fruscio di coperte anticipò il consueto bacio post risveglio, un contatto delicato ma intriso di significati che entrambi avevano imparato a cogliere. Dazai sentiva crescere una sorta di dipendenza ad ognuno di essi, finendo per bramarne ancora ed ancora. E sapeva anche che Odasaku l'avrebbe accontentato persino, ma per una volta si sentì paziente.
Non si allontanarono per un po’, l'uno con un braccio attorno alla vita dell'altro, una guancia poggiata ad una tempia. Il più giovane sentiva la barba pungere leggermente contro la sua pelle, ma non riusciva a scostarsene. Patire un po’ di solletico per bearsi di quel calore era uno scambio che poteva e voleva accettare.
«Caffè? O tè?» sentì chiedere a Oda ad un certo punto, in un sussurro ancora in parte preda del sonno. Dazai si scostò appena, in modo da poter guardare in viso il compagno, e gli dedicò un altro sorrisetto.
«Caffè! Di tè direi che ne beviamo già a sufficienza all'agenzia, non credi? Il che è divertente, perché ad esempio Kunikida dice di preferire il tè, ma la sostanza alla base è fondamentalmente la stessa. Molti sbagliano a pensare di poter bere più tè che caffè e stare bene…»
Non appena finì, sentì Odasaku esalare un sospiro divertito. Ogni tanto si domandava anche perché l'altro avesse questa strana forma di masochismo quale ascoltare con reale attenzione i suoi strambi monologhi. Si trattava una cosa che faceva da tempo, ancor prima della loro fuga, quando il Lupin era ancora il loro bar.
La risposta a cui giungeva era sempre la stessa e, come tante altre volte, espressa con un gesto affettuoso iniziato dal più grande.
Mentre Odasaku si alzava dal letto per andare verso la cucina, lo sguardo del castano si soffermò sulla sua figura: dal viso alle spalle, spostandosi poi sulla schiena, ove poteva vedere diverse cicatrici sparse come costellazioni su un cielo notturno—aveva fatto del riconoscerle una ad una la sua missione, facilmente compiuta dopo le tante occasioni in cui le aveva sfiorate con le dita.
Una volta prive del loro soggetto favorito, le iridi del neo detective ora messosi a sedere sostarono brevemente sull’ingresso, prima di vagare con familiarità per la stanza. La loro stanza—che magari poteva sembrare un po’ stretta per due persone ad un osservatore esterno, ma che calzava semplicemente perfetta ai i suoi occupanti.
Dazai portò le gambe al petto, usandole poi come appoggio per le braccia, nello stesso momento in cui la sua attenzione venne catturata da un dettaglio particolare.
In un angolo della camera accanto alla finestra, sorretta dal suo piedistallo, stava una chitarra classica dall'aria curata. Quello era stato l'acquisto che più aveva stupito Dazai, perché pur conoscendo molti più lati del compagno rispetto al pubblico, la sua propensione verso la musica gli era del tutto ignota.
Quel genere di talento non era in realtà qualcosa che Dazai aveva mai desiderato avere per sé, perché aveva la doppia certezza che qualsiasi forma d'arte non si sarebbe mai sposata bene con il suo lavoro. E che soprattutto non sarebbe stato qualcosa che sarebbe riuscito a coltivare con la giusta cura e passione che esso avrebbe meritato.
Eppure—giusto a riprova del fatto che il destino provava un certo ed innegabile gusto a farsi beffe del suo punto di vista—da quando Odasaku era entrato a fare parte della sua vita, la musica aveva ottenuto un piccolo posto nella loro quotidianità.
Non sempre, non avevano stabilito una regola sul come è quando, ma qualunque momento poteva essere buono. Per questo, quando il più grande fece il suo ritorno con due tazze fumanti in mano, Dazai decise che quello era uno di essi.
«Mhm, mi domando se Odasaku abbia voglia di viziarmi ancora un po’ questa mattina.» disse con calma, gustando qualche sorso della bevanda offertagli.
Seguendo il suo sguardo, l'altro non ci mise molto a comprendere quale fosse la richiesta. Dazai senti un piccolo, familiare brivido lungo la schiena—un'insolita reazione che si era scoperto avere ogni volta che sapeva che il compagno avrebbe suonato per lui.
Recuperata la chitarra Odasaku si sedette sul letto, una gamba piegata sul materasso e l'altra lasciata a lato di esso. Il più giovane rimase ad osservare le sue mani, affascinato dai semplici movimenti delle dita che pizzicavano le corde e ne regolavano la tensione, in cerca dell'equilibrio che avrebbe prodotto le note perfette.
Ancora una volta la mente di Dazai rise in barba a chi si faceva beffe dell'altro, perché i poveri stolti non sapevano assolutamente nulla.
Una pausa, un respiro—dopo di essi, Odasaku iniziò a suonare.
Nota dopo nota, accordo dopo accordo, Dazai si sentì sprofondare in uno stato di rilassamento che normalmente riusciva solo ad immaginare, ancor più quando alla musica si accompagnò anche il canticchiare dell'altro.
Era in momenti come quello, pensava, che l'idea di perfezione poteva essere sfiorata, nell’emozione data da una canzone ed il calore di una persona vicina.