children of mors [cowt10 | week 04 | M1]
Feb. 26th, 2020 04:34 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
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Fandom: Bungou Stray Dogs
Note: (Parte due di due) Forse non è troppo palese, ma in questa AU Dazai è l'unico che ricorda l'esistenza di altri universi e nemmeno qui gli ho dato una gioia. Enjoy the angst.
Il rumore delle onde era l'unica cosa che gli arrivava alle orecchie, accompagnato dal lieve sibilo del vento proveniente dal mare. L'aria ormai satura di salsedine, che un tempo riusciva a calmare anche il più nero dei suoi umori, quel giorno non poteva fare nulla per migliorare il suo stato d'animo.
Non c'era più nulla che potesse fare, gli ripeteva la mente, nessuna azione che nessuno avrebbe potuto compiere avrebbe mai riportato indietro il tempo.
Ironico, ripetè mentalmente per l'ennesima volta, come tutto si era ridotto ad un pugno di sabbia stretto stretto nella sua mano. Sabbia che, man mano che tentava di trattenerne, finiva per scivolare via dalle fessure tra le sue dita. Davvero ironico, perchè quelle stesse mani avevano per anni tentato di salvare vite, di rimediare a quello che era stato forse il suo più grande peccato.
Ma niente, aveva deluso tutti, se stesso in primis. Aveva fallito di nuovo. Nemmeno in quel mondo era riuscito a fare qualcosa di buono (o a salvare chi la sua anima amava più del mondo intero). Non gli erano rimaste più lacrime, nè di delusione nè di rabbia, da versare su quel completo fallimento da parte sua.
Sapeva benissimo che la ricerca in cui si era invischiato non avrebbe offerto un percorso semplice, tutto in discesa. Aveva creduto, però, di poter fare qualcosa per migliorare la situazione—con l'esperienza accumulata già in passato e quella nuova, che avrebbe accumulato lavorando su quel progetto; con la buona volontà di un uomo che non aveva nulla da perdere a quel punto.
Così credeva, almeno.
Eppure...
Eppure ancora ricordava, anche solo dopo pochi giorni, l'esatta sensazione provata sulla sua pelle quando per la prima volta Lui aprì gli occhi: un'euforia inebriante, la voglia di mettersi infantilmente ad urlare e piangere e ridere, tutto insieme. Ciò gli portò, per un attimo, un sorriso alle labbra ormai secche.
Ricordava di aver teso una mano verso di lui, di avergli sfiorato la guancia pallida e liscia—come porcellana, suggerì la sua mente, non senza una nota di ironia—e di aver cercato di scrutare in quelle profonde iridi dello stesso colore del mare, in cerca di qualcosa che nemmeno lui sapeva identificare. Un segno di vita, qualcosa che potesse rassicurarlo che sì, lo riconosceva, che sapeva cos'era accaduto ed immaginava cosa avesse fatto, il medico, per farla tornare. Anche una singola, sola parola di gioia dettata dall'emozione gli sarebbe bastata.
Non vide nulla di ciò.
Anzi, quello che incontrò allora fu solamente silenzio, impassibilità.
Tutte in contrasto con il sentimento prorompente che si sentiva crescere nel petto e che minacciava di esplodere, come un fuoco d'artificio nel cielo estivo.
Era tornato in vita, ma non era vivo.
Il pensiero, lo sapeva, aveva colpito senza pietà ed aveva istantaneamente distrutto ogni parvenza di felicità provata negli attimi precedenti. Un battito di silenzio, la realizzazione ed, infine, il caos.
Non aveva retto, non avrebbe potuto. Poteva qualcuno biasimarlo, onestamente?
Tutti i collaboratori di quel progetto avevano uno scopo comune, esplicitamente dichiarato o ben intuibile data la natura del progetto stesso, anche se riportare una persona cara in vita, per secoli, era stato definito impossibile dalla scienza e tabù dalla moralità.
La speranza di una persona in grado di amare, di provare un forte sentimento verso un'altra, però sembrava non prestare attenzione alla razionalità.
Lui non era da meno in quel momento, nè lo sarebbe mai stato—ne era sicuro. Per questo, si disse, era giustificato nella sua delusione, nella sua rabbia e nel totale sconforto che lo colsero nel realizzare che il suo amato aveva deciso di non tornare tra le sue braccia, anche dopo tutto quello che aveva fatto e tentato fino ad allora.
C'erano volute altre quattro persone per trattenerlo, per impedirgli di mandare all'aria i risultati fino a quel momento ottenuti con quell'ennesimo esperimento (che, già da soli, rappresentavano più di quanto avessero mai raggiunto in precedenza). L'avevano letteralmente trascinato fuori dal laboratorio, ansante e scalciante, mentre la sua attenzione e le sue parole (maledizioni, imprecazioni) venivano rivolte al Fato avverso, al dannato Creatore che aveva reso tutto più complicato con la sua decisione di rendere gli uomini "mortali".
La morte era una certezza, così come era la vita—entrambe rappresentavano punti fissi della loro cultura e niente e nessuno avrebbe dovuto anche solo pensare di metter mano in ciò che la natura aveva stabilito.
"Coloro che sono stati ed hanno cessato di essere, mai più dovranno camminare su queste terre"—il Vecchio Credo era stato severo ed esplicito a riguardo e Dazai ancora ricordava fino a che punto erano disposti a tarpargli le ali, pur di non riconoscere i suoi sforzi.
Non ricordava quante lacrime aveva versato quando Sakunosuke era venuto a mancare, così prematuramente da stupire chiunque lo conoscesse. Una vita stroncata nel peggiore dei modi e nel peggiore dei momenti, ma si sa che le cose belle non sono destinate a durare a lungo. Così andavano le cose, così era aveva deciso Madre Natura.
Eppure, pensava lui con una certa amarezza, quella stessa natura che aveva egoisticamente deciso di limitare il tempo disponibile di ogni essere, umano e non, vivente su quella terra; quella stessa natura che aveva dato agli uomini la capacità di ragionare, di formulare teorie ed applicarle e verificarle, per migliorare la propria vita—essa aveva permesso che la scienza e l’arcanismo si evolvessero a tal punto da fondersi in pratiche, normalmente, di gran lunga lontane dalla natura della stessa.
Dazai non era un genio, o almeno tale non si considerava. L'unica cosa che aveva fatto in vita sua era usare il cervello al meglio che poteva. Un “meglio” che nel suo caso si traduceva nel seguire intuizioni personali o anche idee suggerite da altri.
La mente dell'uomo, ancora offuscata da innumerevoli preoccupazioni, si destò un poco a quell'ultimo pensiero. E' vero, si disse, non era arrivato dove si trovava in quel momento da solo, ma aveva unito le sue idee a quelle di Sakunosuke.
L'immagine dell’uomo appariva sfocata nella sua memoria, come se la sua mente stessa rifiutasse di fargli ricordare qualcosa di tanto nostalgico e doloroso.
Le iridi castane si nascosero dietro a palpebre tremanti per qualche momento, un sospiro liberato dalle labbra secche e sottili. Anche qualcuno che non lo conosceva avrebbe potuto notare la sua concentrazione, se non dal modo in cui si stava inconsciamente mordendo il labbro inferiore almeno dall'aggrottarsi delle sue sopracciglia.
Un tremore gli attraversò le ossa, da capo a piedi, nel momento in cui la realizzazione lo colpì come un mattone in pieno viso. Non ricordava il suo viso e stava lentamente dimenticando anche il calore dei suoi abbracci—quelli che si scambiavano nel momento in cui uno o l'altra riusciva a trovare un "punto di svolta" nella ricerca.
L'unica cosa che rimaneva certa, e di cui Dazai era particolarmente grato, era la sua voce. Gentile, paziente. Emozionata, concentrata.
L'uomo si trovò a imprecare a mezza voce, perchè non era la sua memoria quella che conservava frammenti tanto importanti della sua vita. Se non fosse stato per le registrazioni vocali delle sue osservazioni e dei suoi appunti, era certo che non gli sarebbe rimasto più nulla di Oda.
Non era giusto, nulla di tutto ciò. Non voleva dimenticare, nè avrebbe dovuto essere possibile già di per sè.
Perchè, quindi?
Quella domanda sembrava volergli dilaniare la mente così come l'anima—e Dazai avrebbe volentieri permesso a quel dolore di ucciderlo, in alcuni momenti, ma per ironia della sorte ogni qualvolta l'uomo aveva simili pensieri per la testa, qualcosa o qualcuno appariva al suo fianco per distrarlo, fermarlo.
Come in quell'occasione.
«Non ti sei ancora stancato di guardare il mare da questa spiaggia?»
Il ricercatore riaprì gli occhi di scatto, inspirando rapidamente, e si voltò verso il collega con la lentezza di chi si sentiva come un ladro appena colto in flagrante.
«Cosa fai qui?» domandò, con il tono di chi onestamente non si aspettava di trovarsi qualcuno davanti tanto presto. Soprattutto, tra tutti gli individui che Dazai poteva immaginare avrebbero pensato di andare a cercarlo e controllare che fosse ancora vivo, nella sua classifica mentale Chuuya non era di certo ai primi posti. Tutt'altro, a voler essere onesti.
Il rapporto tra loro poteva essere facilmente riassunto nell'espressione popolare “cane e gatto selettivi”. Tanto erano compatibili sotto il punto di vista lavorativo quanto non lo erano su tutti gli altri—come dei geni specializzati in un unico campo che risultavano essere disastri in tutto il resto, rapporti umani inclusi.
Non si definivano amici, nè tanto meno colleghi. Conoscenze, forse, che condividevano qualcosa per cui non esistevano descrizioni a parole.
Chuuya scosse il capo, passandosi una mano tra i capelli ramati con fare a metà tra l'esausto e l'irritato. «Lo sai che faccio qui. Il solito, controllo che non ti sia ammazzato o che abbia deciso di rinunciare al lavoro per un attacco di depressione.»
«Non sono depresso.» ribattè subito l'altro aggrottando le sopracciglia, forse nella speranza—pensava Chuuya—di sembrare più minaccioso. «Sto solo... facendo una pausa.»
«Puoi chiamarla come ti pare, ma due settimane non sono solo una 'pausa'. La tua assenza sta cominciando a farsi sentire al laboratorio.» continuò il più vecchio, muovendo qualche passo verso il collega. Non si sedette sulla sabbia come quest'ultimo, anzi, rimase in piedi accanto a lui, abbastanza vicino da potergli tirare dei deboli calci mentre si reggeva in equilibrio sull'altro piede.
«Finiscila- sei fastidioso!»
«Anche la tua espressione ora lo è, ma non mi sembra tu stia sentendo me lamentarmi a riguardo.»
Un altro calcio, questa volta un po' più deciso dei precedenti.
«Chuuya!»
Dazai dovette fisicamente impedirsi di mostrare all'altro una delle sue note smorfie da offeso, non gli avrebbe dato la soddisfazione nè ora nè in futuro, anche se significava voltarsi da un'altra parte.
«Allora ce l'hai ancora la grinta.» commentò Chuuya, con un fare di apparente noncuranza (che sarebbe risultato molto più credibile, se non fosse stato per il mezzo sorriso che gli si era dipinto in faccia alla reazione altrui). «Temevo l’avessi sfogata tutta contro OD4001.»
«Non nominarlo. Non voglio sentirne parlare.»
«Perchè no? Paura che una volta stabilizzato non ti voglia vedere?»
«Ho già visto abbastanza io di quella- quella-» la voce gli si spezzò in gola contro la sua volontà, obbligando l’uomo in silenzio per qualche momento; l’altro, apparentemente paziente, evitò di commentare subito, lasciandogli il tempo per formulare una frase di senso compiuto. «Non mi ha riconosciuto, Chuuya. Non poteva essere lui, avrebbe fatto qualcosa—qualsiasi cosa per farmi capire che era lui.»
La prima cosa che percepì Dazai, dopo quella sua frase, fu un breve contatto fisico—pelle contro pelle—subito seguito da un’esplosione di dolore proveniente dalla sua guancia. Colto di sorpresa dalla sensazione e dal gesto di per sè, il ricercatore scoraggiato finì a terra senza troppi complimenti.
Occhi scuri, spalancati, andarono a posarsi poco dopo sulla figura incombente di fronte a loro.
«Ora ascoltami e non fare l’imbecille, Dazai.» redarguì Nakahara, severo. «Mentre tu te ne stavi qui a piangerti addosso perchè i tuoi piani non sono andati come volevi, Ryuunosuke ed il suo team hanno scoperto perchè non è andata così.»
«Come? Loro hanno-» La domanda gli morì per metà in gola, mentre una miriade di domande gli si affollò in mente. L’unica che però l’ebbe vinta, fu un: «Che è successo allora?!»
L’altro lo guardò per qualche istante senza dir nulla, come se stesse valutando se effettivamente parlargli delle scoperte nel dettaglio o meno. Come se stesse riflettendo su quanto il sapere avrebbe giovato all’uomo ed alla sua mente. Alla fine, però, optò per il sì: meglio che venisse a conoscenza della cosa da lui piuttosto che leggerlo da uno dei rapporti giornalieri.
«Ricordi perchè Oda si è unito a questo progetto?» domandò Chuuya, per sicurezza. Al cenno affermativo del collega, sospirò appena prima di continuare. «Aveva un figlio che è venuta a mancare. Oda ha dato tutta se stesso alla ricerca per riportarlo in vita, fino a quell’incidente. Ryuu crede che in punto di morte, Oda sia riuscito a fare qualcosa che gli ha permesso di riuscire nel suo intento, anche a discapito di se stesso.»
«Quindi mi stai dicendo che…»
«OD4001 non ti ha riconosciuto quando lo chiamavi perchè non ha l’anima di Oda Sakunosuke, ma quella di Oda Hisei. Suo figlio.»
Dazai rimase raggelato a quella dichiarazione, finchè la sensazione di qualcosa che gli scorreva giù lungo le guance non riuscì a strapparlo dallo stupore. Per una volta, calde lacrime gli rigavano il volto senza che potesse far nulla per fermarle--e non gli importava che Chuuya fosse l’unico testimone di quella prova di debolezza.