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[personal profile] hannyakoma
Prompt: Sfortuna

Word count: 3040
Rating: sfw
Fandom:
Black Clover
Note:
 Yami!Centric, SPOILER per l'arco narrativo corrente.



Dal suo arrivo a Clover, per uno sfortunato incidente di percorso, Yami aveva capito che si sarebbe dovuto abituare agli sguardi, ai sussurri alle sue spalle, a tante cose che i locali pensavano gli sarebbero sfuggiti "perchè è un forestiero" - peccato che la lingua comune fosse, per mancanza di migliori termini, comune e che per quanto figlio di pescatori, Yami non era mai stato ignorante da quel punto di vista. Forse un po' rozzo - un po 'tanto rozzo - ma mai stupido, tanto da ignorare quel minimo necessario per intrattenere una conversazione sensata.

Però, perchè come sempre c'è un però in queste situazioni, non si era mai premurato di cacciarsi apertamente nei guai con la gente del regno, specialmente perchè che diavolo avrebbe mai potuto fare un ragazzino, da solo, in una landa che non gli apparteneva e che non conosceva ancora? Di nuovo, mai stato uno stupido. 

Aveva pensato, anche, in uno dei momenti più difficili della sua adolescenza, che avrebbe potuto rischiarsela e tentare di tornare a casa da solo, anche prendendo in prestito (in maniera definitiva e senza ritorno, probabilmente) una barca e farsi una sana e lunga remata verso la sua terra. O di convincere qualcuno ad accompagnarlo nell'impresa - hah! L'ottimismo di un ragazzino. Chiaramente, il piano era stato abbandonato dopo aver effettivamente considerato distanza, stabilità e provviste da portarsi dietro. Ed anche il fatto che sarebbe stato probabilmente da solo, a doversi orientare, con una capacità pressochè nulla di riuscire a trovare la via giusta: avrebbe rischiato di sbarcare a Heart, prima ancora di poter arrivare a prendere la direzione giusta, e per quanto poco gliene fregasse probabilmente non avrebbe dovuto rischiare di farsi ulteriori nemici.

Quindi, per farla breve, non solo s'era cacciato in un'apparente situazione senza ritorno, nemmeno per colpa sua, ma manco poteva fare nulla per cambiarla.

Se non altro, per qualche ragione a lui ignota, la magia del regno parve riconoscerlo come suo effettivo membro allo scattare del suo quindicesimo compleanno. Ricordava come, la sera prima dell'evento stesso, Tsuruya, una sua compatriota incontrata al suo sbarco al porto e che gli aveva garantito un tetto sopra la testa ed almeno due pasti caldi al giorno, era riuscita a convincerlo a fare un tentativo alla torre della città. Alla peggio, gli disse, nulla sarà diverso dal solito ma magari sarai più fortunato!

E Yami, siccome aveva in simpatia la donna e le doveva già molto, non se l'era sentita di negarle quella semplice richiesta. 

Si sentiva quasi di dire che Tsuruya gliel'avesse tirata quando il giorno dopo la fortuna fu, di nuovo, non dalla sua parte: un grimorio l'aveva scelto come suo proprietario, uno che portava decorazioni e ghirigori simili ai dipinti della sua patria e che, però, fu nuova causa di mormorii e timore da parte dei locali.

Cominciò a pensare che, davvero, qualcuno l'avesse preso in odio tra le divinità del mondo. Eppure non gli pareva di aver mai fatto o detto qualcosa che potesse suscitare tanto accanimento, a dirla tutta.

La magia contenuta nel suo grimorio - uno specchio della sua anima, come aveva annunciato il custode della libreria durante il discorso iniziale - aveva affinità con le tenebre, l'oscurità: simile ad una nebbia pesante, lenta, capace di inghiottire anche la luce più viva. Ovviamente, una cosa del genere non poteva che essere segno di sventura.

A quel punto, Yami cominciò a non farsi più domande in merito: se tanto doveva portarsi addosso una nomea del genere senza aver fatto nulla di male, si sarebbe scatenato e basta, dando a tutti quelli che lo guardavano storto semplicemente perchè esisteva un reale motivo per aprire la loro dannata boccaccia.


*


Man mano che il tempo passava, c'erano sempre meno cose che gli sfuggivano dalla memoria: tra queste, anche il primo momento in cui gli fu per primo assegnato il soprannome di "dio della distruzione". Probabilmente dopo essersi unito ai Cavalieri Magici, su invito - assillante, insistente, eccentrico - di quello che sarebbe diventato a tutti gli effetti il suo mentore.

Julius Novachrono, come aveva imparato nel corso degli anni, era semplicemente la persona meno ortodossa (e pregiudizievole) che incontrò nella sua adolescenza. L'uomo, da che matto come un cavallo che era, non aveva mollato con lui: l'aveva seguito, tormentato ed infine convinto ad unirsi alla sua squadra dei Cavalieri Magici - uno scouting tanto aggressivo quanto era grande l'eccentricità del capitano - e persino c'era messo di impegno per insegnargli tutti i "come" ed i "cosa" del regno. Cose che da esterno non poteva sapere, di base, non senza qualcuno che potesse dargli delle dritte più specifiche.

La parte peggiore, comunque, restò il dover imparare a scrivere con quegli strani ghirigori che a Clover chiamavano "lettere". A lui, onestamente, sembravano dei disegnini senza senso: faticava a comprenderne il funzionamento ed era, di base, il tipo di lavoro mentale che poco amava fare. La cosa lo frustrava parecchio, agli inizi nello specifico, il che non lo faceva impegnare abbastanza, quindi non riusciva a fare progressi rapidi e - insomma, un circolo vizioso senza fine. 

Tsuruya, dall'alto del suo rigirare il coltello nella piaga, ebbe il coraggio di dirgli che quella era solo la conseguenza del suo essere negativo: quelli che pensano che una cosa è difficile, la rendono più difficile a forza. Stessa cosa per il suo credere di essere sfortunato, o qualunque cosa “di brutto” si sentisse nel momento in cui la donna gli porgeva un orecchio per cacciar fuori un po' di frustrazioni. 

Di solito quel tipo di conversazioni terminava con lui con i pensieri ancora più ingarbugliati ed un mal di testa, l'indomani, causato dai bicchierini che accompagnavano la chiacchierata - e forse, forse eh, avrebbe dovuto tirarsi indietro dopo aver raggiunto il livello "brillo", ma tra l'essere considerato già un adulto dopo la cerimonia dei grimori e l'appetibile calore e la leggerezza portati dall'alcol, c'era poco che realmente lo tratteneva. Soprattutto, considerando che la dannata donna era proprietaria di una locanda e che se c'era una cosa di cui andava fiera erano proprio gli alcolici che offriva ai clienti, beh... tanto detto era sufficiente a spiegare la situazione.

Almeno Tsuruya aveva un cuore d’oro e gli faceva sempre trovare acqua a volontà ed una colazione ricca e bilanciata per combattere i postumi. E persino gli evitava lavori pesanti fino al primo pomeriggio, onde evitare di averlo k.o. per l’intera giornata. 

In fondo, l’aiuto che Yami dava alla donna era un modo per ripagarla dell’aiuto che lei gli aveva dato, ma anche qualcosa che il giovane faceva volentieri tra una missione per conto dei Cavalieri e l’altra. 

Il giorno in cui era venuto a sapere che era venuta a mancare, durante il suo terzo anno con il Cervo Grigio, si sentì come se un pezzo di sè fosse stato strappato via dal suo petto. Una giornata sventurata, gli avevan spiegato quelli che conoscevano la donna e che sapevano di più sull’accaduto: il fatto che il conflitto con Diamond fosse ormai in stallo da anni sui confini, aveva apparentemente causato un tentativo di “nuovo approccio”. 

Ossia l’invasione via mare, piuttosto che dall’entroterra. 

Per sfortuna, il primo insediamento sulla loro strada era stata la cittadina che l’aveva accolto. Venne anche a sapere che Tsuruya, santa donna, aveva cercato di fare qualcosa per evitare che i soldati nemici mietessero più vittime di quanto non avevano poi fatto. 

Yami ricordò allora di quella volta che lei gli rivelò un suo desiderio di gioventù - entrare in una delle brigate e difendersi il regno - che s’era vista costretta ad abbandonare, per mancanza di talento. Doveva darle atto di una cosa, nonostante fosse cosciente delle scarse potenzialità magiche della donna: il coraggio e la forza d’animo per affrontare anche le situazioni più grevi non le erano mai mancati, così come quell’inaspettata abilità a tirar fuori da una persona anche i problemi che non credeva di covare. 

Sarebbe stata un ottimo cavaliere ed un’ottima leader, se ne avesse avuto modo. Di questo poco, Yami era certo.

Eppure, ancora una volta quella che sentiva sempre più come una maledizione aveva colpito. Quasi iniziava ad odiarla, la parola “sfortuna”.


*


Da quell’occasione, fu un continuo susseguirsi di episodi, quale più pesante e quale più leggero. 

A partire da quella volta in cui si perse al rientro da una missione nella Foresta delle Streghe, e non solo finì per scatenare il panico nelle abitanti del luogo, ma anche l’ira della “padrona di casa”. Anche quella, pensava, doveva essere un’esperienza causata dalla sfortuna che lo perseguitava dal suo arrivo a Clover. Se avesse dovuto dare un commento positivo sulla faccenda, forse, fu il fatto di essere alla fine riuscito ad uscire da quell’area tutto intero - con un piccolo aiuto, ma tant’è che poco importava.

Vanessa, la giovane strega che aveva incontrato per caso (ed a cui aveva con tutta probabilità distrutto la stanza, seppur si trattasse di una letterale gabbia dorata), non gli aveva fatto particolari domande dopo che avevano lasciato insieme la Foresta. Portarla con sè al di fuori di essa, vederla osservare il mondo circostante con un misto di timore e meraviglia - quasi fosse la prima volta che i suoi occhi si posavano su orizzonti simili - gli creò un senso di responsabilità che forse non gli sarebbe dovuto appartenere, ma che ciò nonostante lo spinse a fare da “guida” alla giovane e ad offrirle un posto dove stare.

Un’altra occasione, poi, fu ben lontano da aree sconosciute ed inesplorate. Una giornata come tante altre, ora di pranzo al solito chiosco che aveva scovato nei dintorni del quartiere residenziale della capitale (uno che aveva, sul menù, anche alcuni piatti originari della sua terra era raro; gli portava una certa nostalgia, a volte) - si trovava seduto, tranquillo, a gustarsi ciò che aveva ordinato e scambiare quattro chiacchiere con il proprietario, quando una rete di rovi magici andò a ribaltare l’intero tavolo.

In un primo momento, pensò persino che si trattasse di un attacco da parte di qualche gruppo di banditi - o peggio - che erano riusciti in qualche modo ad infiltrarsi nell’area. Non sapeva se sentirsi sollevato o irritato nello scoprire che non si trattava di quel caso: da un lato avrebbe potuto sfogarsi sui nemici, dando libertà alla frustrazione accumulata nell’ultimo periodo. 

Dall’altro, però, avere la riprova che anche la Regina di spine in persona fosse, dopo tutto, non una statua gelida ma un essere umano con le sue mancanze ed i suoi difetti fu ben più che una compensazione. Gliel’aveva sempre detto, pur a rischio di trovarsi legato dalle fruste di rovi di lei, che chiedere aiuto non fosse sbagliato. Lui stesso, probabilmente, lo sapeva meglio di tanti altri e l’atto stesso di chiedere una mano non avrebbe reso nessuno “di meno” rispetto a quello che era.

Charlotte non pareva averla presa troppo bene, comunque. Da quel giorno, parve cambiare ed essere ancora più indispettita in sua presenza, sebbene Yami non percepisse particolari sentimenti negativi dal suo ki. 

Ancora nel presente, restava un mistero.


*


Il peggiore, tuttavia, fu probabilmente la tragedia della famiglia Faust. 

Era accaduto tutto durante una delle tante cerimonie di premiazione per i Cavalieri più meritevoli, ove lui stesso aveva fatto un passaggio di grado che nel presente nemmeno più ricordava. 

Morgen, l’altra persona che avrebbe dovuto presenziare per ricevere gli stessi onori, era parte delle vittime di un tremendo incidente - o così gli era stato riferito dagli ufficiali. Yami non poteva credere alla cosa: solamente la sera prima, prima di tornare ognuno alla propria dimora, l’altro s’era congedato con un semplicissimo “a domani”, accompagnato dalla solita raccomandazione di non combinare guai e riposare adeguatamente. Ricordava di avergli risposto qualcosa di annoiato come suo solito, al che Morgen aveva risposto con un sorriso dei suoi prima di augurargli un buon rientro.

La verità gli venne raccontata successivamente dall’unico sopravvissuto alla faccenda. C’erano voluti giorni prima che Nacht riuscisse a schiodarsi dalla tomba del fratello ed ancor più prima che riuscisse a guardare Yami in faccia: il non vedere l’usuale ghigno beffardo, che prometteva solamente guai, sul volto dell’altro faceva quasi male quanto la consapevolezza di aver perso un caro amico - forse due, se Nacht stesso non fosse riuscito a riprendersi dallo stato mentale in cui era finito.

Era frustrante. Essere incapace di aiutare non solo uno, ma due dei suoi pochi amici e compagni lo faceva sentire piccolo, impotente, ora come il primo giorno in cui era approdato a Clover come un ragazzetto spaesato. Aveva fatto l’unica cosa di cui era capace, allora: tendere una mano, offrendo la promessa di un posto in cui stare, in cui poter essere se stessi e ricominciare, nonostante il proprio passato e le proprie colpe - un porto sicuro dove riposarsi e curare le proprie ferite prima di ripartire.

Non aveva lascito a Nacht l’opportunità di rifiutare, seppur tale luogo ancora non fosse stato creato, e l’altro non avesse proferito parola. L’unico testimone di quella promessa, la prova di un periodo che probabilmente poteva essere definito come il migliore ed il peggiore al tempo stesso, giaceva nelle tasche di Yami da quel giorno.

Probabilmente si trattava di un gesto sciocco, inutile. Conservare un oggetto che ricordava, indirettamente, quello che erano stati e che non sarebbero più potuti essere, ma forse un giorno sarebbero riusciti entrambi ad affrontare i ricordi con qualcosa di diverso da rimpianti e dolore.


*


Nonostante gli anni passati ad ignorare le malelingue, il suo comportamento e palese menefreghismo del "controllo dei danni" gli fecero acquisire il titolo di "dio della distruzione". Non che ciò fosse rilevante a molto, oltre che a far sì che le persone che non lo conoscevano lo guardassero con giustificato timore, più che semplice disappunto nel vedere un cavaliere magico che letteralmente si comportava come un toro senza controllo: Yami sapeva di fare il suo - il "come" era qualcosa su cui avrebbe dovuto lavorare, ma ancora non aveva trovato la voglia di curarsene.

Una volta gliel'aveva detto, Nacht, seppur con sarcasmo, che se avesse voluto evitare che le persone lo giudicassero avrebbe dovuto conformarsi alle loro norme. 

Era un discorso che avevan fatto a tempo perso, dopo una delle loro fantomatiche fughe adolescenziali: nato da un commento lanciato con leggerezza, forse anche per colpa del sakè che Yami aveva ricevuto da una strana vecchietta che girava per la capitale, il futuro capitano si era lasciato andare più del solito. Restava comunque nella convinzione che quelli di Clover l'avrebbero sempre giudicato per colpa delle sue origini - disse questo al compagno, ricevendo uno sguardo che sembrava volerlo giudicare un po' per quell'affermazione, ma che comprendeva (e condivideva) quell'opinione.

Seppur diversamente da lui, Nacht stesso aveva dovuto imparare a convivere con le occhiate delle persone che lo circondavano, incapaci di farsi gli affari loro e di smettere di paragonare lui e Morgen. Per quanto Yami volesse bene ad entrambi, comprendeva che per la concezione collettiva i modi di Morgen erano quelli "corretti", ancor più se paragonati a Nacht e Yami stessi. 

Qualcuno era arrivato persino a guardare Morgen con pietà, ed i suoi pari “nobili” persino con scherno e derisione, per la sfortuna di essere finito in squadra con un disgraziato simile: poco importava di come il loro duo “luce ed oscurità” fosse efficace, e come avessero portato a casa ottimi risultati nel corso dei mesi passati, per loro il pregiudizio rimaneva più forte dei fatti. 

Ancora una volta, la parola “sfortuna” - Yami ricordava di aver provato una sensazione scomoda, spiacevole, all’idea che la sua personale maledizione potesse attaccarsi a qualcun altro di vicino a lui. 

Nel presente, la sua convinzione pareva essere diventata una certezza. Non aveva messo in conto l’essere catturato dalla Triade Oscura, tanto meno di essere preso ed usato come catalizzatore per chissà quale rituale demoniaco. Quello che più lo turbava, oltre al fatto che i suoi idioti avevano rischiato la vita per fermare il nemico comune (stavano bene, dovevano stare bene, sapeva che Nacht avrebbe fatto in modo che restassero tutti interi) e che al momento si sentiva letteralmente sgretolare, era che per qualche strano scherzo del destino un’altra delle persone con cui aveva legato si trovava di fronte a lui, nella stessa situazione.

William, un suo rivale e compagno di squadra ed amico, uno con cui aveva condiviso missione dopo missione quand’erano ancora al Cervo Grigio prima di diventare capitani a loro volta, e probabilmente un’altra delle persone soggette al giudizio altrui (ingiustamente, in quel caso, perchè davvero: Vengeance non aveva mai dato a nessuno motivo di sospettare o dubitare del suo operato, ma il pregiudizio comune l’aveva spinto a coprirsi il volto per nascondere qualcosa di sgradevole alla vista, di cui però William stesso non aveva colpa).

“Non porti sfortuna, Yami-bo. Levati dalla testa queste sciocchezze!”

La voce di Tsuruya ritornò ancora una volta, come un eco lontano. Suonava più debole, tirato del solito, come se il ricordo e l’incoraggiamento stesse sforzandosi per arrivare a lui. Aveva perso il conto di quante ore erano passate da che il maledetto scienziato pazzo l'aveva confinato, assieme a William, in quelle lastre simil bara al centro del cerchio magico, eppure le energie non sembravano volergli tornare minimamente.

L'unica cosa che gli tornava in mente ancora ed ancora, come un fantasma che non voleva lasciarlo in pace, erano le parole che Morris gli aveva rivolto al suo arrivo ed imprigionamento.

“Sei il prescelto. Morte, disperazione. Oscurità. Sarai tu a portarle in questo mondo!”

L'uomo era parso particolarmente soddisfatto, quasi eccitato dalla prospettiva di vedere il mondo intero sommerso nel caos. Pensandoci, quel tipo era lo stesso che a Diamond aveva cominciato gli orrendi esperimenti per creare dei cavalieri magici in grado di usare più di una magia, e con una quantità di mana in grado di rivaleggiare con i reali di Clover.

Se Yami avesse dovuto scegliere tra l'essere lodato da un pazzo maniaco oppure essere giudicato dagli abitanti di Clover, la risposta sarebbe ovvia. Forse non aveva avuto torto, a pensarsi sfortunato, dopotutto.


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